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Antonio Cabrini, il bello dal cuore bianconero

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Difensore di spicco e astro della Juventus per tredici stagioni, Antonio Cabrini è stato anche un bello del calcio, capace di ammaliare la tifoseria femminile. Per tutti era il “bell’Antonio” o il “fidanzato d’Italia”

Antonio Cabrini nasce a Castelverde, in provincia di Cremona, l’8 ottobre del 1957. La sua è una famiglia di agricoltori e il padre lo vorrebbe a gestire l’azienda di famiglia, ma Antonio al trattore preferisce il pallone e trascorre le giornate tirando calci contro un muro.

IL PROVINO – A 14 anni, la sua occasione: un provino con la Cremonese, al quale si presenta in divisa da basket. Zelo eccessivo della madre, che non sa nulla di calcio, ma che lo vuole vestito come si deve. Ridono tutti, tranne l’allenatore Ivanoe Nolli, che con la sua lungimiranza lo prende immediatamente. Con lui in squadra c’è anche Cesare Prandelli e tra i due è subito amicizia. Un’amicizia mai tramontata.

ESORDIO – Esordisce giocando come ala sinistra, poi Nolli lo fa arretrare in difesa, nel ruolo di terzino sinistro. È così che Antonio Cabrini diviene uno dei migliori difensori di sempre, capace di coniugare potenza, velocità, elevazione e creatività. Nel 1975 viene acquistato dall’Atalanta, in compartecipazione con la Juventus. A Bergamo rimane solo un anno, disputando un campionato in serie B, che non lo fa brillare, ma che ne mette in evidenza le indubbie doti. Il club torinese non se lo lascia scappare e l’anno successivo lo accoglie nella prima squadra, sborsando senza battere ciglio i 700 milioni del riscatto.

ALLA JUVENTUS – Antonio Cabrini debutta con la maglia bianconera il 13 febbraio 1977, all’età di diciannove anni. Ed è subito scudetto, bissato l’anno successivo. Forse troppo per un ragazzo venuto dalla campagna e che sta muovendo i primi passi. La fama sembra fagocitarlo, ancora di più al ritorno dai Mondiali in Argentina del 1978, dove il successo è raddoppiato dai consensi che ottiene presso il pubblico femminile. Le donne lo divorano con gli occhi, gli si offrono senza pudore, gli lanciano oggetti d’oro e biancheria intima.

Antonio Cabrini

Antonio Cabrini alla Juventus a metà degli anni ’80, a colloquio con il tecnico Trapattoni

STAGIONE 1978-1979 – Parte sottotono, come demotivato o sopraffatto dall’improvvisa popolarità. Così mister Trapattoni in bianconero e Bearzot in azzurro decidono di tenerlo temporaneamente in panchina. Antonio non tarda a ritrovare il vigore fisico e morale e così, con la Vecchia Signora, continua ad arricchire il suo palmarès: arriva la Coppa Italia nel 1979 e gli scudetti nelle annate 1980-1981 e 1981-1982.

IL DIFENSORE – Antonio Cabrini rivela un talento eccezionale per i tiri in rete, tanto da diventare un “difensore-attaccante”, giocatore chiave in molte partite. Con la Juventus conquista negli anni seguenti altri due scudetti – per lui sono sei in tutto – poi un’altra Coppa Italia nel 1983, la Coppa delle Coppe nel 1984 e l’anno seguente tre prestigiosi trofei: Supercoppa UEFA, Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale.

Antonio Cabrini

Tacconi, Platini e Cabrini festeggiano la vittoria della Coppa delle Coppe a Basilea nel 1984

L’ADDIO ALLA JUVENTUS – Nella stagione 1988-1989 Antonio Cabrini indossa la fascia da capitano bianconero, anche se ormai si sta avviando verso il viale del tramonto. È ancora giovane, ma qualche problema fisico e qualche divergenza con l’allenatore Zoff ne accelerano l’addio e il trasferimento al Bologna. Con la squadra emiliana disputa ancora due stagioni in serie A con discreti risultati, ma alla fine del campionato 1990-1991 chiude la sua carriera da calciatore.

IN NAZIONALE – Su Antonio Cabrini appena ventenne aveva scommesso il CT Enzo Bearzot, che lo convoca per il Campionato del Mondo del 1978 in Argentina. Qui Antonio gioca tutte le partite e viene premiato dalla FIFA come “miglior giovane” dell’edizione. Un premio, che è stato croce e delizia nei suoi anni d’esordio. È innegabile, però, che il suo nome sia indissolubilmente legato alla Nazionale italiana campione del mondo in Spagna nel 1982. Quella nazionale divenuta quasi un mantra per molti: Zoff, Gentile, Scirea, Cabrini…

Altobelli, Cabrini, Scirea e Gentile alzano la Coppa del Mondo nel 1982

FATAL RIGORE – Eppure, proprio con questa nazionale da capogiro, Cabrini fallisce un colpo: sbaglia un calcio di rigore nella finale di Madrid contro la Germania ovest, partita poi finita 3-1 per l’Italia. Per lui è un boccone troppo amaro: «Ero disperato e me ne scusai anche con il presidente della Repubblica Sandro Pertini. Lui mi rispose ‘Non ci pensi più’.  Ora so che ciò che conta è reagire, per non farsi condizionare dal timore di sbagliare ancora».

IL LIBRO – Anni dopo, con la maturità e il senno di poi, riuscirà a scrivere su quest’esperienza un manuale di vita e di gioco: “Non aver paura di tirare un calcio di rigore”, facendo il verso a De Gregori. L’avventura con la squadra azzurra continuerà per altri cinque anni, ma senza più troppa convinzione. Con l’Italia Antonio Cabrini totalizza 73 presenze, di cui 9 come capitano, e 9 reti. Un record, se si pensa che è un difensore.

ANTONIO, ATTO SECONDO – Nel 2000 comincia per Cabrini una nuova vita, che lo vede mister di varie squadre di serie B e C1, ma è nel 2012 che arriva un’insospettabile svolta. Una svolta tinta di rosa, come del resto la sua fortuna con le donne poteva lasciare presagire. Per cinque anni, fino agli Europei del 2017, guida la Nazionale di calcio femminile e porta le azzurre a crescere e a disputare importanti competizioni. “Le donne? Si allenano molto meglio degli uomini, sono bravissime, ma pochi lo sanno. Per colpa del solito maschilismo italiano”.

NUOVA ERA  Abbandonato anche il calcio femminile e compiuti sessant’anni, Antonio Cabrini sperimenta altre forme di vita. C’è il suo ristorante, che gestisce insieme con i figli Martina ed Eduardo. Ci sono le sessioni di mental coaching, in cui insegna a vincere le paure. C’è forse un terzo libro da scrivere. E poi c’è l’amore, che da qualche anno ha il nome di Marta. Infine, quando i clamori del mondo lo sovrastano, “Cabro” (questo è il soprannome che preferisce!) può sempre scappare nel suo rifugio: la cascina Mancapane, quella che appartiene alla sua famiglia da un secolo e dove lui è nato e cresciuto. Un sano ritorno alle origini, per questo ragazzo di campagna che ha conosciuto gloria e trionfi mondiali.

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