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Buffon rivela: «In caso di Champions non mi ritiro»

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Il numero uno bianconero si racconta in un’intervista fiume. Tutte le confessioni di un Gianluigi Buffon a 360 gradi tra Juventus, Nazionale, futuro e non solo. Con un consiglio speciale a Donnarumma

Purtroppo sì, il 2018 potrebbe (sottolineiamo potrebbe) essere anche l’anno dell’addio al calcio giocato da parte di Gianluigi Buffon. Il numero uno dei numeri uno, arrivato ormai alla soglia dei 40 anni, è pronto ad appendere gli scarpini al chiodo. Ma non è ancora detta l’ultima parola. Perché, come esplicitamente dichiarato da Gigi in un’intervista sull’edizione odierna de La Gazzetta dello Sport, in caso di vittoria della Champions continuerebbe a giocare ancora per un anno. Una prospettiva che, naturalmente, è auspicabile da tutto il mondo Juve. Ecco la sincera e lunga intervista di Gianluigi Buffon che si racconta con massima trasparenza. Juve, Nazionale e futuro: nelle sue parole c’è un po’ di tutto. Anche un consiglio speciale per il giovane collega Gigio Donnarumma.

RITIRO – «Nessuno vorrebbe smettere, ma no… Sono felicissimo perché sono arrivato a una tappa importante della mia vita e sono sereno. Affrontare uno snodo così cruciale con questa armonia interiore è ciò che conta di più ed è veramente bello. Conosco le dinamiche del campo, potrei dire che a 60 anni sarò come ora. Poi però ci sono tante valutazioni da fare, non ultima considerare la fortuna di stare in una società in cui sono apprezzato e in cui ho un legame molto forte con tutti, dal presidente in giù. Mi sento a disposizione totale del progetto. Il presidente con me è straordinario, da 5 anni mi ripete: “A un certo punto della stagione, vieni e mi dici se vuoi continuare o no”. E così farò anche stavolta».

PORTA APERTA – «A un certo punto devi capire in che tipo di ruolo puoi diventare più importante per la causa. Non voglio essere un catenaccio. Molti mi han detto: hai esagerato a fare dichiarazioni così in Nazionale. Ma un uomo di 40 anni deve avere senso di responsabilità. Siccome non sono l’ultimo arrivato e so che posso essere ingombrante, preferisco farmi da parte. Non sarò mai un problema, ma per chi mi ha dato tanto, Juve o Nazionale, ci sarò sempre, in qualsiasi veste e con qualsiasi ruolo».

JUVE – «Il sistema-Juve mi ha stravolto la vita, cambiato il modo di concepire il lavoro e la strada da fare per raggiungere gli obiettivi, anche se un’infarinatura l’avevo avuta in famiglia. Ho genitori e sorelle con imprinting sportivo: non sono mai stati accondiscendenti con me. È un modo di pensare da Juve e ritrovarlo a Torino mi ha fatto solo bene. Cos’ha di speciale questo club? È diverso dagli altri perché negli ultimi decenni in Italia e in Europa è sempre stato equilibrato e attento nelle spese, ma ha abbinato virtuosismo economico a risultato sportivo. Stare alla Juve è per pochi, perché è usurante, però ti forgia. Probabilmente da altre parti è anche più divertente, però meno vincente».

SE AVESSE SCELTO IL BARCELLONA – «Sarebbe stata un’altra vita, un’altra carriera, e non si può sapere come sarebbe andata. Diciamo che sono rimasto nel sottopassaggio del Camp Nou, ma sono veramente felice di aver scelto la Juve».

RIFARE ITALIA-SVEZIA CON INSIGNE O CARDIFF? – «Italia-Svezia non la vorrei rigiocare, non siamo venuti meno come spirito, atteggiamento o unione, ma abbiamo palesato alcuni limiti. Rigiocherei a Cardiff perché, se con la Svezia abbiamo dato l’80-90%, contro il Real nel secondo tempo è mancata la compattezza, che è sempre stata la nostra forza. Forse abbiamo pensato di poter fare gara pari a viso aperto. E non è così. Ci sono dei valori: una squadra esperta deve capire che, in un certo modo, può vincere con chiunque. Ma quando il livello si alza, deve stare molto attenta».

NEGATIVITA’ – «È normale che il sentimento dei tifosi sia negativo, le finali perse sono scottature che ci porteremo addosso sempre. Però noi giocatori non l’abbiamo vissuta così: quando siamo entrati in campo sapevamo che sarebbe stato difficile, ma dentro avevamo la fiducia di potercela giocare».

CONTINUA IN CASO DI CHAMPIONS – «Quello è l’unico caso certo».

BONUCCI – «A Leo voglio bene come a un fratello, perché anche nei suoi eccessi mi piace tanto. Ha valori sani e, messo in un certo contesto, è un punto di forza. Una risorsa incredibile. L’ambiente Juve era perfetto per lui: mi è dispiaciuto sia andato via perché sembrava la scelta di un uomo impulsivo e orgoglioso. Ogni tanto, parlando, glel’ho detto: lui mi ha risposto che non è stato impulsivo, ma ha fatto una scelta ponderata. Leo vive di sfide, aveva bisogno di riaccendere il fuoco con una scelta forte e impopolare. Lo rispetto, ma mi è dispiaciuto e credo dispiaccia molto ancora adesso anche a lui».

ANIMA RITROVATA – «Gli altri anni ci sono stati momenti precisi in cui abbiamo fatto riunioni tra giocatori, cosa che in Nazionale è sembrata folle. Quando sento dire da ex giocatori in tv ‘Ai miei tempi…’ mi viene da dire: ‘Ma ai vostri tempi la parola ce l’avevate?’. Una riunione non è niente di carbonaro, è senso di responsabilità di chi fa di tutto per invertire una situazione negativa. Ventura ne era a conoscenza e fu lui a stimolarla».

COSA IMPUTA A VENTURA – «Niente e non è retorica, perché quando le spedizioni falliscono la colpa è di tutti. Ci sono momenti storici in cui non sei all’altezza. Con la SVezia, anche quando eravamo fortissimi non sono mai state passeggiate. Si vinceva 1-0 o 2-1 con partite sempre equilibrate. Questa volta è capitate di perdere, come è successo altre volte, solo che valeva veramente tanto».

QUANDO NON E’ STATO ESEMPIO – «Tante volte e alcune ho pagato troppo a caro prezzo certe accuse. Però la cosa buona, che credo la gente abbia apprezzato di me, è l’umanità. Sono uno che nell’errore, o nel presunto errore (a volte ho messo la faccia in situazioni in cui non c’entravo, mi ha dato fastidio però l’ho fatto), non ha maschere. Pentito di essermi messo a nudo? No, ci sono passaggi che devi affrontare se vuoi diventare più forte come uomo e aumentare l’autostima. Io mi riconosco mille difetti, ma mi considero trasparente, uno da cui non ti aspetti mai un colpo gobbo. Quello che ho da dire lo dico, ma con educazione, nel rispetto di ruoli e regole».

DOVE SI VEDE TRA 10 ANNI? POLITICA? – «La politica è un mondo un po’ strano, ci sono cose da migliorare, che vediamo tutti. E tutti ci provano, ma nessuno ci riesce. Com’è possibile, mi chiedo? Se queste cose non vengono fatte, allora significa che l’impotenza prevale su tutto».

DYBALA CAMBIATO? – «Cambiato no, però ha detto la verità: giocatori di quel livello sono sportivi soli. Quando hanno momenti di crisi dovranno cavarsela da soli. La squadra e la società sono a supporto per non farti fare il ruzzolone, ma devi uscirne tu».

BUFFON COME KOBE BRYANT – «L’affetto lo sento ed è gratificante. Ma non riuscirei a dire addio come ha fatto lui: a me dà fastidio festeggiare il compleanno perché so a priori che sarò al centro della scena e non mi piace. Se il centro della scena si crea sul momento, lo reggo bene e faccio un figurone. Ma se è costruito mi ammazza. Vivo di emozioni».

COSA DIREI AL BUFFON 18ENNE – «Mi rivedo poco, ma non è che rinneghi qualcosa. Quel carattere è stata la mia forza in certi momenti, però mi sento a disagio per quello che dicevo e per come lo dicevo. Quel ragazzo è stato folle e forte a restare in piedi nonostante i danni che faceva. Però, ora non mi appartiene anche se lo guardo con simpatia. La vita è evoluzione, se mi vedessi così a 40 anni avrei dei problemi».

RITIRARE LA MAGLIA – «No, non mi interessa: il calciatore viene sempre dopo il calcio».

VINCERE DOPO 6 SCUDETTI DI FILA – «Vincere ancora è estremamente complicato: io rischio di arrivare a 2500 giorni di fila in cui mi sveglio pensando “devo vincere”. A livello mentale è usurante. Quest’anno, a un certo punto, sentivo dire in maniera inopinata che fossimo in difficoltà. Ma se il Napoli le vinceva tutte non era colpa nostra… Sentivo dire anche che la difesa si era indebolita, ma gli uomini più o meno sono i soliti. Il club ha costruito una squadra fortissima, fatta di uomini con orgoglio, dedizione, voglia di competere e primeggiare che danno speranza di rivincere. Poi anche la gestione di Allegri, di cui nessuno parla mai, perché si pubblicizza poco, è eccezionale. Sento fare complimenti a tutti, ma pochi a lui».

TROPPI ELOGI A SARRI? – «Non facevo riferimenti a nessuno, la mia è stata una difesa spassionata, senza input, del mister. Di Allegri si sente parlare poco, ma quando vinci così tanto significa che l’allenatore è determinante. Cosa gli ruberei? Io non farei mai il tecnico, ma da lui prenderei la lucidità e il coraggio-follia che lo accompagnano in determinati momenti e lo spingono a fare certe scelte».

CONSIGLIO A DONNARUMMA: VENIRE ALLA JUVE? – «(Sorride, ndr) Beh, con la Juve non sbaglia mai… A Gigio non posso dare consigli perché non vivo la sua situazione, non so la connessione emotiva che può avere col Milan. In maniera asettica, potrei dirgli due cose, come ho già fatto in Nazionale, però quello che fa la differenza è ciò che ti vibra dentro l’anima».

LIBRO: COME INIZIEREBBE? – «Con me piccolo perché alcune volte, quando ripenso alla carriera che ho fatto, il richiamo va al Gigi bimbo. Ero bravo, non un mezzo matto, sono peggiorato in età adolescenziale, e da piccolo mi emozionavo per la giocata di un calciatore. Per una maglia. Sono stato ripagato dalla vita per la venerazione incondizionata che avevo per il calcio».

MANCERANNO I TOTTI, I MALDINI, I BUFFON – «Mancano in questo momento, perché la forza che hai tu calciatore deriva da ciò che riesci a fare in campo. Acquisisci potere per quello che fai in campo».

COM’E’ CAMBIATO IL CALCIO – «E’ migliorato, c’è molta più professionalità e più conoscenza di ogni aspetto, da quello tattico a quello alimentare. Siamo arrivati a livelli di eccellenza inimmaginabili. Questo calcio permette di dare una valutazione precisa dell’uomo. Si dice spesso: non ci sono più le bandiere. Ma è solo una questione di scelte. Se uno vuole, rinuncia a determinate cose e diventa bandiera. Certo, devi pure trovare un club che abbia le tue stese ambizioni, come è capitato a Maldini con il Milan per esempio. Gli ho detto che non avrei giocato fino a 40 anni? Sì, può essere, perché non credevo nelle mie potenzialità».

VAR – «E’ quello che ho sempre detto: utilissima, toglie un po’ di pathos, ma alla fine rasserena gli animi. Se questo fa bene al calcio, aiuta ad accettare i verdetti, allora ok. Come ho detto dopo la partita col Genoa, il mezzo andava tarato. Non ho mai detto di essere contro, resto a favore, ho solo detto: “Diamoci una regolata”. Se uno ha messo un dito nell’orecchio all’altro e dobbiamo aspettare sei minuti per vedere se gli ha tolto il cerume, allora non gioco più… Adesso la situazione mi sembra migliorata».

TRE FIGLI, CHI L’EREDE? – «Quello che avrà più fame, più orgoglio e meno paura del confronto continuo con il papà. Il più pazzo e il meno sensibile».

IL COMPAGNO CHE HA SPRECATO PIU’ TALENTO – «Cassano».

IL PIU’ SIMPATICO – «Asprilia sicuramente, poi Simone Pepe».

UN PENSIERO PER LE SUE RISERVE – «Non è stato facile, nel tempo uno sviluppa una certa sensibilità… A volte convivo con un senso di disagio. Appena posso, cerco di far giocare gli altri perché mi fa piacere e perché ho sempre creduto nel gruppo».

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