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Juve Allegri, il cedimento è strutturale

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Juve Allegri, il cedimento è strutturale. L’analisi della situazione in casa bianconera all’indomani del ko in Champions

Juventus-Benfica 1-2: il verdetto rappresenta la seconda sconfitta in Champions League e una qualificazione largamente compromessa, anche se l’ipotesi di 6 punti nel doppio confronto con il Maccabi Haifa potrebbe quantomeno regalare ancora una speranza e andare a Lisbona a giocarsela. Tenendo conto che ciò che succederà ai lusitani è un’incognita perché per la squadra che si è vista ieri a Torino, pur con tutti i limiti della prestazione dei bianconeri, ipotizzare una doppia sconfitta con il Psg non è esattamente la probabilità più alta. Fare conti e tabelle in anticipo è perciò un puro esercizio, istintivo e consolatorio. E se questa sembra essere l’unica speranza alla quale aggrapparsi un minimo, significa che ciò che si è visto all’Allianz Stadium ha il sapore amaro della resa. Vissuta lungo il secondo tempo come un’agonia prolungata, sebbene due opportunità per pareggiare siano arrivate: il palo con Kean, Bremer tutto solo a pochi passi dal portiere smarcato da un geniale assist di Di Maria. Ma il pari non sarebbe stato né giusto, né meritato. Sarebbe però servito non poco per la classifica e avrebbe permesso di correggere quell’impressione di cedimento strutturale della squadra che oggi è fonte di enorme preoccupazione.

Allegri non parla in questi termini, istituzionalmente convinto di poter ancora correggere la rotta. Ma i messaggi che manda sono di pura conservazione. Ricordate quella Juve dominata dall’Atletico? Comunicativamente fu quello il momento più alto del mister. Disse chiaramente che in quel momento la Juve avrebbe perso con chiunque. Ma che c’era il tempo di riempire la bottiglia goccia a goccia per arrivare al momento fatidico della gara di ritorno. E così andò, offrendo la sensazione di una squadra che sapeva ritrovarsi anche in virtù della sicurezza della propria guida. Oggi, invece, Allegri non drammatizza e non indica neanche obiettivi, se non il solito “fatti e non parole”. Un modo di dire che è terribilmente lontano da un’idea alta del suo ruolo, nel quale le parole quando sono giuste hanno il potere di suscitare fatti. Una cosa difficilissima da inventare quando anche Monza, l’ultima in classifica, ti suscita dubbi e preoccupazioni. Ma un esercizio di leadership diventa un dovere e in questo Bonucci si è dimostrato un vero capitano con un’analisi spietata delle mancanze della serata e del periodo: «Sono preoccupato, non c’è da nascondere nulla. Purtroppo usciamo dalla partita troppo spesso, vuoi per un fatto mentale o per un fatto fisico, non so per quale motivo. Questo è quello che mi preoccupa di più, facciamo molta fatica a essere costanti durante le partite».

I cedimenti strutturali, leggasi anche come l’essere in balia dell’avversario, generalmente avvengono in mezzo a un percorso che ha avuto un picco di rendimento, e non si è riusciti a sostenerlo costante nel tempo. In altri termini contengono dentro di sé un meccanismo di funzionamento che improvvisamente smette di agire. Spesso è un’idea di un allenatore che ha convinto tutti, ha affascinato ma si è rivelata non sostenibile. Oppure è la fine di un ciclo. Il primo caso è ciò che successe con Ciro Ferrara (una Juve splendida in certe partite che crollava in modo vertiginoso in altre fino a non avere più la forza di risollevarsi). Il secondo è la fine del primo ciclo di Lippi, quando l’infortunio di Del Piero svelò che quella squadra non aveva più i caratteri distintivi del suo allenatore, la pancia piena e una legittima usura produssero lo spegnimento della macchina.
La Juve di Allegri – questa, ma anche quella dell’anno scorso – crolla senza essersi mai costruita. É un fragilissimo castello di carte (e gli assi, purtroppo, sono momentaneamente fuori dal mazzo). Ricorda la Juve di Del Neri, nata male, che imparò a camminare un po’, senza mai riuscire a correre spedita e senza mai affascinare un po’, come almeno avevano fatto le due citate prima.
Ferrara e Lippi non finirono la stagione, Del Neri sì. I risultati furono sostanzialmente identici: non si lottò per lo scudetto, si restò fuori dall’Europa (e a onor del vero Ancelotti arrivò in semifinale di Champions League, ma per la squadra che aveva fatto 3 finali consecutive sembrava persino scontato). Allenatori in crisi, scelte radicalmente diverse, situazioni immutate: questo dice la nostra storia. Il presente non può che iscrivere sempre più adepti agli #AllegriOut: sta alla Juve nel suo complesso sgonfiare il “movimento” con la forza dei risultati, che per una squadra capace di solo 2 vittorie in 8 incontri oggi sembra una missione impossibile.

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