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Lazio-Juve conferma la regola del mal da big. La squadra di Allegri ha difetti cronici

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Lazio Juve conferma la regola del mal da big. Questa squadra ha difetti cronici: dentro i problemi della squadra di Allegri

I dettagli, come la spintarella di Milinkovic Savic su Alex Sandro in equilibrio precario, fanno la differenza. Ma ridurre la sconfitta all’Olimpico contro la Lazio alla svista arbitrale di Di Bello non aiuta a spiegare i motivi di una sconfitta che va ben oltre l’episodio, e merita di essere analizzata da diversi punti di vista. Se non altro per evitare di commettere gli stessi errori in futuro. La Lazio ha preparato la partita meglio, con scelte tattiche precise a tavolino che hanno messo in crisi i bianconeri dal primo minuto; la formazione quasi obbligata per Allegri/Landucci è stato un vantaggio non indifferente per Sarri, che conosce benissimo la Juve e i suoi punti deboli. L’organizzazione di gioco ha premiato una Lazio più compatta, più brava negli inserimenti e nella costruzione della manovra, in una parola più squadra. Mentre i bianconeri sono usciti solo alla distanza, giocare gli ultimi 20 minuti spesso non è abbastanza per fare risultato, specie contro una avversaria di livello. Due difetti ormai cronici di questa Juventus: sprecare i primi tempi delle partite – finché affronti le medio piccole puoi vincerla nella ripresa, contro le big invece rischi grosso – e aspettare di incassare un pugno per reagire. Una politica rischiosa, manca quel fuoco sacro per vincere sempre e comunque ogni volta, pure le amichevoli infrasettimanali alla Continassa.

Questione di mentalità, di senatori o di gioco imposto da Allegri? Forse un misto di tutti e tre i fattori, ma fino a questo momento la Juventus pur protagonista di una rimonta quasi insperata in classifica non ha mai dato l’impressione di squadra matura, in grado di battere chiunque. Cosa invece che riuscivano a fare le formazioni del primo quinquennio di Allegri. Colpa anche di un peso specifico della rosa che a livello di personalità, esperienza e palmares si è ridotto parecchio, mentre il lato positivo è stato il lancio di giovani del vivaio, ormai in pianta stabile in prima squadra. Ma quasi sempre in questa stagione la Juve ha perso quando si è trovata di fronte una formazione di alto livello o molto ben organizzata. Lo dimostrano le ultime sei sconfitte stagionali contro Lazio, Roma, Napoli, Monza, Psg e Benfica. L’approccio alle gare di cartello non sembra cambiare molto rispetto a quando si affronta la penultima in classifica, ed è un errore: alcune sfide vanno preparate con qualche accortezza tattica in più, e probabilmente gestite meglio durante i 90 minuti, soprattutto avendo a disposizione 5 cambi.

Diventa difficile da giustificare un primo tempo come quello dell’Olimpico, in cui quasi tutto non ha funzionato. E la Lazio ha dominato sia a centrocampo (nonostante il solito Rabiot sontuoso) e su entrambe le fasce, settori decisivi. Altri due spunti di riflessione sulla partita: viste le enormi difficoltà sia in fase difensiva sia in quella di manovra forse il cambio di sistema di gioco poteva arrivare prima, quanto meno per evitare a Cuadrado e compagni di farsi trovare quasi sempre in inferiorità numerica. Anche la gestione di Chiesa in questo momento rischia di diventare più complicata del previsto: Fede di mestiere non fa l’ala ma l’attaccante, possibilmente esterno, nel 352 però significherebbe sacrificare uno tra Di Maria e Vlahovic. Il dubbio (legittimo) è se mantenere l’equilibrio di squadre con il 3-5-2 e Chiesa a sprazzi dalla panchina o virare sul tridente (più rischioso). Infine c’è da ritrovare Dusan Vlahovic, ma la sensazione è che sia lui a dover ritrovare per primo se stesso. Vero, la Juve deve metterlo in condizione di nuocere di più e meglio, ma ai grandi attaccanti (uno tra tutti, Trezeguet) a volte bastava mezzo pallone per buttarla in porta. In questo momento invece per segnare una rete a Dusan servono 10 palle gol, la Juve fatica a permettersi un bomber inceppato e piegato sotto il peso di una pressione che fatica a gestire, la sospensione del suo account social è un segnale da non sottovalutare.

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