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Moggi, la rivelazione sul futuro della Juventus: «Elkann venderà la società, vi spiego il motivo». Cosa sta succedendo

Moggi sul futuro societario. L’ex DG prende sul serio l’ipotesi cessione: la Juve nella mediocrità per mancanza di visione e competenza
Luciano Moggi, l’uomo che insieme a Bettega e Giraudo ha guidato la Juventus ai trionfi dell’era Agnelli, ha rilasciato dichiarazioni dirompenti sul futuro del club e sull’operato di John Elkann. Intervistato, Moggi non ha smentito l’ipotesi di una vendita della Juventus, ma ha analizzato le ragioni che potrebbero portare a questo epilogo, legandole direttamente alla gestione dell’attuale erede.
Moggi ha evidenziato come Elkann non ha mai mostrato un vero coinvolgimento nella Juventus, limitandosi a finanziarla e a coprire gli aumenti di capitale quando necessario. Secondo l’ex DG, la Juventus è irriconoscibile ed è finita nella mediocrità perché non ha una società all’altezza della situazione.
Moggi non ha risparmiato critiche sulle scelte manageriali, citando l’incredibile errore di aver lasciato andare via Beppe Marotta. Interrogato su un suo possibile ritorno, ha affermato: «Io per la Juventus sono pronto a tutto».
Moggi non ha dubbi: la situazione in casa Juve
Il giudizio di Moggi si estende alla gestione complessiva dell’eredità Agnelli da parte di John Elkann, reo di aver impoverito e poi dismesso i simboli familiari un pezzo alla volta: prima l’industria, poi i giornali, ora forse la squadra, un destino che avrebbe portato la Juventus a seguire la crisi della Fiat.
Moggi ha criticato la continua delegittimazione di allenatori e dirigenti, sottolineando che oggi i dirigenti della Juve sono tutti francesi, molti dei quali sconosciuti e con scarsa esperienza nel calcio, citando un dirigente che si occupava prima di tennis. L’ex DG ha ricordato che con l’Avvocato Gianni Agnelli il calcio non era mai un hobby, ma un linguaggio, e ha elogiato la capacità di Umberto Agnelli di tenere insieme conti e campo, portando alla creazione della Triade.
Secondo Moggi, la persona che avrebbe garantito la continuità naturale con l’Avvocato era Gianni Agnelli, l’erede mancato.
Moggi conclude riflettendo sul fatto che l’allontanamento di Andrea Agnelli abbia segnato la fine dell’idea che la Juventus fosse un luogo da abitare e non solo da gestire, trasformandola in una proprietà senza padrone simbolico.
LUCIANO MOGGI – «Elkann non ha mai mostrato un vero coinvolgimento nella Juventus. L’ha finanziata, questo sì. Ha fatto aumenti di capitale, ha messo i soldi quando servivano. Ma una società di calcio non vive di capitali soltanto. Vive di competenza, di visione, di presenza. E quando queste cose mancano, i soldi diventano una stampella, non un progetto. La Juve non è nata per partecipare, è nata per vincere. Incredibile che l’abbiano lasciato andare via. Io per la Juventus sono pronto a tutto. E’ impressionante che la Fiat abbia abbandonato Torino, prima ancora della squadra. La Juventus conta, certo. Ma la Fiat era un sistema. La squadra segue. E’ finita nella mediocrità perché non ha una società all’altezza della situazione. Se prendi un direttore e dopo due anni lo mandi via, vuol dire che hai sbagliato a prenderlo oppure a non sostenerlo. Una delle due. Ma comunque hai sbagliato. Non li conosco nemmeno. So che ce n’è stato uno che prima si occupava di tennis. E’ una cosa che non si sa bene se ridere o piangere. Guarda che non è basket. E’ una battuta alla Platini. Plausibile. Mi chiamava alle 5 del mattino: ‘Comandante, ci sono novità?’. L’Avvocato non spiegava: capiva. Aveva l’istinto degli uomini, prima ancora che delle partite. Quando decise di prendere in mano la Juventus, lo fece perché aveva capito che la gestione del grande Boniperti non funzionava più. Si era chiuso un ciclo. La soddisfazione non era spendere, ma comprare Zidane a cinque e rivenderlo a centocinquanta dopo aver vinto tutte le competizioni. A una partitella dello Sporting in Portogallo vidi un ragazzino di diciassette anni, si chiamava Cristiano Ronaldo. L’avevo ingaggiato, ma la cosa saltò perché Marcelo Salas non si volle trasferire. Quella partita Italia-Francia fu tra Juventus A e Juventus B. Aveva già responsabilità importanti, nonostante l’età, e un attaccamento diverso alla Juventus. La piega sarebbe stata un’altra. Forse non migliore per definizione, ma di sicuro coerente. Anche L’Avvocato Agnelli aveva ereditato, certo. Ma aveva attraversato un apprendistato lungo, aveva sbagliato, aveva imparato. Qui no: tutto insieme, tutto subito. E quando l’eredità non viene abitata, ma solo amministrata, i simboli diventano intercambiabili. E’ l’ultimo anello di una catena che si è spezzata prima. Può darsi avesse fatto degli errori, delle spese eccessive. Non so giudicare. Ma nove scudetti consecutivi non sono un dettaglio. Ha pettinato per il verso giusto il giustizialismo sportivo. E’ la stessa cosa che accadde a me, Bettega e Giraudo. Cos’è la riconoscenza? Un sentimento del giorno prima».
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