Perin e la "maledizione" del numero 12: storie di addio
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Perin e la “maledizione” del numero 12: da Bodini a Rampulla e Storari, vita e addii all’ombra dei giganti

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Perin e la “maledizione” del numero 12: vita e addii all’ombra dei giganti da parte degli storici vice alla Juventus

L’imminente ritorno di Mattia Perin al “suo” Genoa non è solo una nota di calciomercato, ma l’ennesimo capitolo di una saga tutta bianconera: quella del “numero 12” (e pazienza se adesso i portieri di riserva possono indossare altri numeri, Perin è addirittura un 1…). Essere il portiere alle spalle del titolare nella Juventus, dal 1972 a oggi, è stato uno dei mestieri più complessi del calcio italiano. Significa vivere all’ombra di monumenti, mantenere la concentrazione sapendo di non giocare quasi mai e, infine, decidere quando l’attesa diventa insopportabile.
La storia dei vice-portieri juventini si divide in ere geologiche dettate dai titolari inamovibili.

L’Era dei fantasmi (1972-1983). Quando Dino Zoff prese possesso della porta bianconera, la chiuse a doppia mandata per oltre un decennio. In quel periodo, il secondo portiere non era una riserva, era un’entità astratta. Massimo Piloni e Giancarlo Alessandrelli sono nomi che evocano una pazienza certosina. Piloni fece anni di panchina senza vedere il campo in campionato, il titolare del resto non ne ha mai saltata neanche una in undici anni, un percorso netto di 330 apparizioni senza interruzioni. Alessandrelli è famoso per quel cameo all’ultima giornata del 1979 con l’Avellino: entrò per Zoff e subì tre gol in venti minuti. Perché lasciavano? Per disperazione agonistica, spesso scendendo di categoria pur di sentirsi vivi, o per fine carriera, logorati da anni di riscaldamenti inutili. Piloni andò in B nel Pescara, con il quale poi ebbe una più che dignitosa esperienza nella massima serie (e anche un malcelato rancore verso Super Dino). Alessandrelli, invece, non ha mai più calcati i campi della A.

I professionisti della panchina (Anni ’80 e ’90) Con il post-Zoff, la figura si evolve. Arrivano Stefano Tacconi e, come suo scudiero, Luciano Bodini. Bodini inaugura l’era del “dodicesimo affidabile”: resta a lungo, accetta il ruolo con professionalità pur discutendolo apertamente perché non si sente inferiore, si fa trovare pronto per un certo periodo nel quale il rivale non è irreprensibile. Lascerà solo a fine carriera per un’ultima esperienza a Verona, per poi chiudere come terzo all’Inter. Ma l’archetipo del secondo moderno è Michelangelo Rampulla. Arrivato nell’era Peruzzi, lui diventa un’istituzione. Non è lì per rubare il posto, ma per coprire le spalle. Resta per un decennio, chiudendo la carriera in bianconero, anche perché della Juve ne è grandissimo tifoso. La sua longevità è dovuta all’accettazione totale del gerarchia in cambio di trofei vissuti dalla prima fila.

La lunga ombra di Gigi (2001-2018) L’arrivo di Buffon cambia di nuovo le regole. Gigi è un cannibale. I suoi secondi devono essere di alto livello, pronti a sostituire il migliore al mondo. Antonio Chimenti e l’austriaco Manninger svolgono il compito diligentemente per anni, lasciando poi per l’inevitabile declino anagrafico. Il caso più emblematico è Marco Storari. Forse il miglior “dodicesimo” della storia recente. Titolare ovunque, alla Juve accetta la panchina (giocando comunque tanto nel 2010/11). Resta cinque anni, è decisivo in Coppa Italia, ma alla fine lascia a 38 anni per tornare protagonista a Cagliari. Il fuoco sacro di giocare era troppo forte per spegnersi in panchina. Diverso il caso di Neto: giovane, ambizioso, brasiliano. Arriva per imparare da Buffon, ma capisce presto che Gigi non ha intenzione di smettere. La sua permanenza è breve (due anni): se ne va al Valencia perché il talento reclamava spazio.

Il caso Perin e la contemporaneità. E arriviamo a Perin. La sua parabola è quella del portiere troppo bravo per fare il secondo, non abbastanza per scalzare il titolare Szczesny. La sua prima avventura a Torino fu frenata da infortuni e dalla presenza ingombrante del polacco e del rientrante Buffon. Tornato dopo la parentesi genoana, ha accettato il ruolo di vice con maturità, diventando un “Rampulla 2.0”, fondamentale nello spogliatoio e in Coppa Italia. Ma a 33 anni, il richiamo del campo è tornato prepotente. La sua partenza non sarebbe un fallimento, ma la naturale conclusione del ciclo vitale di un numero 12 juventino di alto livello: hai servito la causa, hai vinto (campionato, Coppa Italia e Supercoppa), ma ora devi e vuoi tornare a sporcarti i guanti ogni domenica. Perché alla Juve, la porta è una monarchia assoluta che tollera pochissime repubbliche. Fate i conti: ci sono stati più Presidenti della Repubblica in Italia o portieri titolari nella Juventus?

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