Zola sulla crisi in Italia: «Necessaria una rivoluzione»
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Zola sulla crisi del calcio italiano: «Necessaria una rivoluzione». Attacco diretto agli allenatori, svelato il problema principale

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Zola attacca la formazione: solo 3 ore di lavoro col pallone. Il salto in prima squadra è come andare su Marte, serve la qualità negli allenatori

Gianfranco Zola, ex fantasista di Parma e Chelsea, ha analizzato la crisi strutturale che sta attraversando il calcio italiano, intervenendo su La Gazzetta dello Sport. Per Zola è necessaria una rivoluzione per uscire dal momento difficile che vede la Nazionale in affanno.

Secondo Zola, non tutti i giocatori nascono fenomeni, citando Roberto Baggio o Alessandro Del Piero. I campioni possono diventare tali, ma il talento deve essere coltivato. Il problema è il percorso.

Zola ha individuato una falla nel metodo di allenamento. Oggi i giovani fanno tre allenamenti a settimana, ma di questo tempo, meno della metà è speso con il pallone tra i piedi. L’ex fantasista ha ricordato che lui e la sua generazione facevano sei ore le facevamo ogni giorno in cortile, sempre con il pallone attaccato ai piedi. La mancanza di tecnica è il risultato di questa scarsità di contatto con la palla.

Zola, ecco la soluzione: investire sui formatori e dare spazio ai giovani

L’investimento sui giovani deve riguardare soprattutto i formatori. La qualità in chi è chiamato ad allenare deve essere sentita come una condizione a cui non si può più rinunciare. Zola vede segnali positivi: i nostri club lo stanno capendo.

L’apertura è incoraggiante. Ben quarantadue società su 57 hanno aumentato, sensibilmente, lo spazio per i ragazzi cresciuti nei loro vivai. Questa tendenza è vitale per la Juventus, che punta sulla Next Gen per generare talenti come Kenan Yildiz. Se il percorso di formazione sarà più solido, giovani con il potenziale di Yildiz non dovranno faticare a crescere in Prima Squadra, e il calciomercato non sarà più l’unica soluzione per colmare le lacune della Vecchia Signora.

PAROLE – «E’ necessaria una rivoluzione. Un ragazzo di diciassette anni che ha delle qualità lo devi mettere davanti ad un percorso: non tutti nascono fenomeni, Roberto Baggio o Del Piero. Ma fenomeni possono diventare: a diciassette anni, seppur bravo, non sei ancora pronto e sei hai fatto solo il settore giovanile, il salto in prima squadra è come andare su Marte… Se si è perso il calcio per strada? Si è perso quello che avevamo noi: oggi fanno tre allenamenti a settimana, sei ore di lavoro di cui meno della metà con il pallone tra i piedi. Io, e altri come me, sei ore le facevamo ogni giorno in cortile. E sempre con il pallone attaccato ai piedi. L’investimento sui giovani? La qualità in chi è chiamato ad allenare deve essere sentita come una condizione a cui non si può più rinunciare: i nostri club lo stanno capendo, molti lo hanno già capito, in tanti si stanno adeguando con l’inserimento di figure specializzate sul tema. Un inizio molto promettente se è vero che quarantadue società su 57 hanno aumentato, sensibilmente, lo spazio per i ragazzi cresciuti con loro».

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