De Sciglio: «Non sono il figlioccio di Allegri, non mi ha mai favorito»
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De Sciglio: «Non sono il figlioccio di Allegri, non mi ha mai favorito»

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De Sciglio: «Non sono il figlioccio di Allegri, non mi ha mai favorito». Il terzino della Juve svela il rapporto con l’allenatore

De Sciglio a Cronache di Spogliatoio ha parlato del suo rapporto con Allegri al Milan prima e alla Juve poi.

ALLEGRI – «Ecco, prima di parlarvi di Allegri, voglio dirvi una cosa: non sono il suo figlioccio. Il nostro è uno dei rapporti allenatore-giocatore più iconici degli ultimi anni, ma lui non mi ha mai favorito. Certo, ciò che è vero, è che tra noi è nato un legame speciale. Lui mi ha fatto esordire, lui mi ha visto cadere, lui mi ha visto rialzarmi. Credo che Allegri, come tutte le persone che mi hanno voluto analizzare per quello che sono, si sia sempre accorto che voglio far trasparire un ragazzo genuino. Semplice, educato, disponibile. Il nostro rapporto di confidenza, spesso enfatizzato, ha creato una fiducia reciproca. Pretende tanto da me, e sono uno di quello che massacra di più perché mi vuole bene e conosce le mie qualità. Lavora molto sulla comunicazione con il gruppo e con il singolo. Mi stuzzica, e ormai ne nascono dei botta e risposta. Ci divertiamo. A lui piace dare nomignoli a tutti i calciatori, e quando vuole colpirmi nell’orgoglio mi chiama «Mangia e dormi». Sì, dice che sostanzialmente io mi alleno, mangio e dormo. Stop. Però mister, una cosa te la devo raccontare io adesso. Anche noi ti prendiamo in giro. Sai che imitiamo il tuo modo di parlare in toscano, e qualche volta ci siamo ritrovati a doverti tradurre. Quando ci sono le riunioni tecniche e ci sono nuovi giocatori stranieri, spesso ci chiedono: «Ma cos’ha detto?». Perché già è difficile capire l’italiano dall’inglese, figuriamoci comprendere il livornese! E quindi sì, siamo diventati interpreti di livornese-inglese. Il suo pragmatismo viene visto come un difetto. In tanti si mettono negli occhi il bel calcio, guardano Guardiola e puntano il dito. Secondo me, Pep è una cosa a sé, unico nelle sue idee e nel modo di sistemare la squadra, di inventarsi i ruoli per certi elementi. La gente si è messa in testa che tutte le grandi devono giocare bene. Non voglio prendere le difese di Allegri, è il mio pensiero, ma è una contraddizione. In Italia si tende a guardare il risultato, poi però si parla del bel gioco. E tante volte, le due cose non vanno di pari passo. Ogni partita è una storia: a volte giochi meglio, perché te lo permette l’avversario, altre no. Dipende dagli spazi che ti concedono, da tante componenti».

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