Pogba Juve: 5 cose da aspettarsi da lui
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Pogba Juve: 5 cose da aspettarsi da lui

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Pogba Juve: 5 cose da aspettarsi dal ritorno del centrocampista francese a Torino. L’editoriale sul colpo di mercato dei bianconeri

Pogba e la Juve: cosa aspettarci per il 2022-23? La prima cosa da fare tutti, appena vedremo in campo Pogba, è resettare la nostra mente e provare a non valutarlo sulla base dei parametri maturati nel corso della sua prima avventura alla Juventus. Sarà uno sforzo quasi impossibile, non solo perché i ricordi piacevoli sono i più persistenti nella memoria (è uno dei privilegi dell’essere tifosi). Dentro quelle immagini del passato c’era talmente tanto futuro in potenza che stabilire un nesso tra lo ieri e l’oggi diventa automatico e lo sarà anche questo articolo. Sintetizzando il tutto: abbiamo un po’ tutti pensato che “quel” Pogba potesse diventare, con la crescita e la maturità, uno dei più forti centrocampisti al mondo. Un tempo, neanche lontano, si sarebbe detto: uno da Pallone d’Oro, se il premio non si fosse fatto un po’ di autogol con assegnazioni monocordi (Messi) e riconoscimenti mancati (Lewandowski). Adesso, “questo” Pogba non deve più promettere nulla, è arrivato al momento della verità. Il Manchester United gli ha creduto solo nell’età di mezzo, scartando il troppo giovane e il giocatore maturo. Sta alla Juventus – per fortuna! – fare la misurazione definitiva del suo valore. Non più limitandosi ad ammirare lo smisurato talento, che ci ha fatto innamorare a lunga durata, come si è visto nell’accoglienza torinese non meno calda di quella riservata a Cristiano Ronaldo. Adesso, siamo al dunque, alla registrazione definitiva del peso specifico di Paul sulle sorti della Juve. Fatte salve le sorprese che ci regalerà – altrimenti non sarebbe Paul Pogba – sono 5 le cose da aspettarsi da lui.

1) Esperienza. Non è solo perché ha 29 anni. E non è nemmeno che dobbiamo ricordarglielo e dircelo noi stessi, visto che appare quello di sempre, come si addice a una rockstar del calcio, il tempo sembra scivolargli sopra. Da quando lo abbiamo lasciato, il Polpo ha giocato 233 partite con il Manchester United ed è passato attraverso un Mondiale e due Europei con la Francia, con la quale potrebbe toccare le 100 presenze in questo anno. A oggi ne ha 17 in più in Bleu di quante ne avesse Andrea Pirlo in azzurro quando è arrivato alla Juventus e con 3 anni in meno rispetto al suo ex compagno di squadra. Basta per dare un’idea di quanta potenziale saggezza ci sia nel Polpo?

2) Incidenza. Specificazione dell’esperienza. Il Pogba juventino lo avevamo lasciato a Monaco, in quel confronto con il Bayern che lui aveva aperto con il gol dopo 5 minuti, confezionando poi sontuose giocate e però andando fuori giri con l’esaurirsi delle energie. Oggi Paul si presenta a Torino avendo deciso Manchester United-Ajax, ultimo atto dell’Europa League 2016-17 e con il gol nella finale Mondiale dell’anno successivo. É trascorso un po’ di tempo, quello giusto, per tornare a incidere nelle gare che contano che ci saranno. E per sapere che si incide nel merito più si conoscono virtù e limiti del proprio agire.

3) Leadership. Doverosa, non solo perché Paul a oggi rischia di essere il più anziano anagraficamente del nostro reparto di mezzo. L’esercizio di leadership che gli si richiede è dato dalla sua conoscenza di calcio in contesti diversi. E il sospetto è che lui abbia bisogno proprio della mentalità italiana per esprimersi al meglio e ancor più delle soffocanti gabbie predisposte per contenerlo. Chi si attendeva in Premier di vedere un giocatore box to box è rimasto deluso dal vederlo troppo spesso impigrito o confinato in una dimensione tattica che ne ha ristretto compiti, raggio d’azione e capacità propositive. Alla Juve talvolta lo si accusava di gigioneggiare un po’, ma questa era l’espressione di una natura che non andava imprigionata troppo. E che aveva bisogno (ha ancora?) del numero a effetto e anche del confronto uomo a uomo da vincere con la sua classe per sentirsi un leader tecnico. Oggi gli si deve forzatamente chiedere di non buttare via quello spirito giocoso, ma di capire anche la “serietà” (termine Allegriano) dei momenti e delle situazioni. Anche se sono convinto che prendere certi rischi davanti alla difesa come sa fare lui potrà darci qualche patema d’animo, ma non più di quelli vissuti da 3 anni a questa parte. E il risultato finale sarà sicuramente migliore.

4) Calciare da fuori. Il respiro dello Stadium verso Pogba è esattamente questo: spingerlo a calciare in porta non appena si arriva ai 40 metri. L’ha creata lui questa aspettativa, con gol che traducevano un concetto che non trova tutti d’accordo: la fantascienza è il fascino della contemporaneità. Se in Blade Runner avessero organizzato un campionato, Paul ne sarebbe stato un protagonista con le sue reti impossibili. Ecco: questa è l’unica voce nella quale se si comporta da replicante di ciò che già conosciamo ci basta e avanza.

5) Produrre assist. Legittimo aspettarsi che il confezionatore seriale sia Di Maria. Non vanno però dimenticate 2 cose: la povertà dei suggerimenti dei nostri centrocampisti nell’ultima stagione, che non è voce meno allarmante rispetto alla denuncia della rarità dei gol prodotti. E i 13 assist con i quali Pogba ci ha lasciato nel 2015-16, che lo resero il più produttivo di una squadra allenata da Allegri. Il mister sa come far rendere Paul in tal senso. Vedremo in quale contesto tattico sarà inserito: l’importante è che su questa capacità del francese si ragioni per organizzare la manovra. Consapevoli che non si vive di sole fasce, anche se lì abbiamo tanta qualità, e che Vlahovic è ancor più forte quando lo si va a trovare in zona centrale, faccia alla porta, ed è lì che Pogba può essere il numero 10 di cui avere bisogno (come del resto ha saputo fare Dybala, che con Dusan si trovava, non facendolo però nelle gare davvero importanti)

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