Allegri: «Io aziendalista della panchina, ma non credo al calcio degli scienziati»
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Allegri: «Io aziendalista della panchina, ma non credo al calcio degli scienziati»

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L’allenatore livornese si è raccontato in una bella e lunga intervista al bimestrale FarmaMagazine. Massimiliano Allegri tra calcio e salute

Davvero interessante e ricca di spunti l’intervista rilasciata da Massimiliano Allegri a FarmaMagazine. L’allenatore della Juventus ha raccontato la sua “fissazione” per la salute e il suo modo di intendere il calcio. Dall’astio per il doping all’etichetta affibbiatagli da Allodi, passando per la somiglianza con Miralem Pjanic. Le dichiarazioni del tecnico orgogliosamente livornese.

SCUOLA  – «È quello il luogo migliore per insegnare alcuni valori di fondamentale importanza per i giovani come la salvaguardia della propria salute. I coach possono dare un contributo decisivo perché gli atleti si fidano degli allenatori e li ascoltano non solo quando spiegano uno schema di gioco. E’ opportuno mettere a frutto questa fiducia e spingere gli allenatori a occuparsi anche dei corretti stili di vita».

DOPING – «Credo sia la vera piaga dello sport. Non comprendo il gusto di essere premiati per una vittoria che non è stata conquistata con le proprie forze. Lo sport agonistico è talvolta inteso solo come fatica e sacrificio, dovrebbe invece essere vissuto come impegno, passione e divertimento. Lo sport può essere una professione bella e dura nello stesso tempo».

ESPERIENZA – «Io credo che si impari da ogni esperienza, anche se in modi differenti. In realtà più piccole si impara l’arte di arrangiarsi, di saper trovare la soluzione più semplice perché le risorse che si hanno a disposizione sono limitate. Tutto questo diventa utile quando sali di livello e i problemi sono più complessi».

LIVORNO – «Le origini non vanno mai scordate, così come i valori che apprendi dall’ambiente in cui cresci. Crescere da livornese all’inizio della carriera può essere un limite, ma quando riesci a integrare allo spirito ‘anarchico’ della città un’etica del lavoro e la serietà nell’affrontare le diverse situazioni, hai una marcia in più».

AZIENDALISTA – «Allodi aveva ragione sul carattere di sicuro. Come allenatore mi etichettano in tanti modi, ma la definizione a cui sono più legato è una che alcuni mi muovevano come critica: aziendalista. Un allenatore è come un manager, e deve far rendere al meglio le risorse che ha disposizione: se i risultati aziendali sono buoni, i risultati sul campo lo saranno altrettanto».

NO AL CALCIO DEGLI SCIENZIATI – «Io non credo alle ore di studio chiusi in uno stanzino e a quello che chiamo “il calcio degli scienziati”: in campo ci sono 22 giocatori, il pallone rimbalza su un campo lungo 100 metri e largo 60 per 90 minuti, non può essere prevedibile. Però, no, non è fortuna. Bisogna saper capire i momenti: ricordo sempre che a Cagliari dopo 5 partite avevamo 0 punti, ma la squadra giocava bene. Sapevo non mi avrebbero esonerato, ero convinto che solo con la positività si potesse cominciare a far anche risultato: chiudemmo il campionato a 53 punti».

SCALA DI VALORI – «Da calciatore ovviamente il talento e il sapersi gestire fuori dal campo, anche per quello che riguarda l’alimentazione ad esempio. Da mister la capacità di lavorare con serietà ma senza prendersi troppo sul serio: sembrano due cose opposte ma sono in realtà complementari».

QUASI COME PJANIC – «Quando giocavo, il calcio ha vissuto la sua ultima rivoluzione, con l’abolizione del retropassaggio al portiere: quando ho cominciato, da professionista, c’era ancora. Negli ultimi 25 anni sono cambiati il gioco, la struttura fisica, le metodologie di lavoro. Mi piacerebbe dire Pjanic, ma Miralem è sicuramente più bravo».

SALUTE – «Quando si parla di salute divento ‘fissato’, e tengo molto di più a questo ruolo che ai premi individuali. L’allenatore è un punto di riferimento per i ragazzi che allena, e questo a ogni livello: se noi tecnici riuscissimo a trasmettere a ognuno quanto siano importanti una vita sana fuori dal campo, mangiare bene, fare attività fisica, evitare il fumo e le bevande alcoliche, avremmo conquistato la nostra Champions League. Investire nello sport, facendo seguire queste regole, significa prevenire malattie e quindi diminuire le spese per lo Stato, contribuendo alla crescita dei ragazzi assieme a scuola e famiglia».

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