Dybala: «L'arrivo alla Juve, la 10, i sogni, gli inizi: dico tutto» - VIDEO
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Dybala: «L’arrivo alla Juve, la 10, i sogni, gli inizi: dico tutto» – VIDEO

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Paulo Dybala intervistato dai Junior Reporter bianconeri. Tantissime domande da parte dei giovani tifosi juventini. Ecco le risposte dell’attaccante della Juventus.

L’ADDIO A CASA – «E’ stato un po’ difficile. Io ero molto giovane e ovviamente fare un viaggio così lungo non era semplice, però stavo seguendo la mia passione e quello che mi piace, quello che ho fatto sin da piccolo. Stavo seguendo il mio sogno e quindi ho pensato a questo e alle cose positive che questo sogno poteva portarmi».

RITI PRIMA DI ENTRARE IN CAMPO – «Quando entro in campo, alzo le braccia e chiedo al mio papà di accompagnarmi e aiutarmi anche in ogni azione».

PIATTO PREFERITO – «Mi piacciono las empanadas, che è un piatto argentino facile da cucinare e si possono fare di carne, di formaggio, di verdure. Sono molto facili da cucinare, le ho fatte con la mia ragazza e ho fatto anche alcuni video, così puoi provare a farle, è molto facile farle e sono anche molto buone».

LAVORO SENZA IL CALCIO – «Non lo so perché ho sempre giocato a calcio, sono andato a scuola, ho avuto la fortuna di arrivare in prima squadra quando ancora andavo a scuola e ho dedicato tutto il tempo per questo sport».

RICORDI DA BAMBINO – «Sono stato lì per tanti anni, ho avute tante esperienze positive e negative. Il ricordo più bello è l’esordio in prima squadra, è stato il premio più bello per tanti anni di sacrificio, di lotta per inseguire il mio sogno. Arrivare lì non è stato facile, ero molto felice e orgoglioso per quello che avevo fatto».

LA SCUOLA – «Andavo un po’ a periodi. In alcuni periodi andavo bene, in altri non tanto. Ci sono stati periodi in cui sono andato molto bene, la mia famiglia è stata come il mister, mi spingeva tantissimo e dovevo dare delle risposte. Alcuni anni sono andati molto bene, poi alla fine quando giocavo in prima squadra, è stato più difficile perché avevo più impegni con il calcio, perdevo tanto tempo ma ho sempre cercato di dare il massimo perché la scuola è importante per il nostro futuro».

COLAZIONE – «Mi faccio un bel mate quasi tutti i giorni, come nella nostra tradizione argentina, e poi cambio sempre: a volte le uova, a volte biscotti o del prosciutto, un po’ di proteine che sono importanti per iniziare bene il mattino e per fare un buon allenamento».

IL SOPRANNOME –  «La storia de El petrino non me la ricordo perché ero molto piccolo ma quello a cui mi sono affezionato di più era U picciriddu perché a Palermo tutti, ma davvero tutti, mi chiamavano così e la gente mi trattava in una maniera incredibile. Era il mio primo anno in Italia che non è stato facile per me con tanti cambiamenti e devo ringraziare la gente di Palermo per avermi accolto così, e quel soprannome è quello che mi è rimasto di più, quello a cui sono più affezionato».

DYBALA MASK – «Io sono un appassionato dei gladiatori che nei momenti di difficoltà si mettevano la maschera e così lo ho associato un po’ alle mie partite di calcio perché alcune volte siamo in momenti di difficoltà, attraversiamo momenti difficile e quindi in un momento complicato per me ho pensato a tutto questo, ho pensato a esultare a ogni gol con questa maschera e mi è piaciuto il messaggio che potevo mandare alla gente, non solo per chi gioca a calcio, ma anche per chi ha altre attività (poi fa il gesto della Dybala Mask ai ragazzi, ndr)».

EMOZIONI BIANCONERE – «Per fortuna ho vissuto tanti momenti belli con la maglia della Juve. La mia prima esperienza è stata una finale vinta facendo un gol, abbiamo vinto tanto insieme ed è difficile trovare un solo punto. Penso che l’arrivo alla Juventus sia stata un’emozione unica: indossare questa maglia, fare la prima conferenza stampa e presentarmi come giocatore della Juve penso che sia stato uno dei momento più belli, al di là di quelli in campo. I traguardi spero siano ancora tanti, il più importante sarà il prossimo, la finale che giocheremo a gennaio contro il Napoli in Supercoppa».

IDOLI – «Il mio idolo era Ronaldinho, mi piaceva come si divertiva in campo e cosa trasmetteva, quello che riusciva a dimostrare in campo con molta semplicità. Il mio primo ruolo è stato da punta a sinistra nei tre attaccanti, io giocavo a sinistra».

DIVERTIMENTO – «Quando sei bambino ti diverti di più, giochi con gli amici, non hai pensieri. Quando uno è grande e gioca ad alti livelli, c’è grande responsabilità anche nel farlo e a volte non si pensa al divertimento e si pensa di più a fare bene, perché non sei con i tuoi amici ma sei con tanti grandi giocatori, ci sono grandi sogni e devi essere molto attento al lavoro che fai. Ma dobbiamo ricordarci sapere che è un gioco e dobbiamo divertirci per far divertire la gente a casa».

SCUOLA CALCIO – «Fino ai dieci anni, abitavo in un paesino molto piccolo, andavo solo in bicicletta con tutti i miei amici. Poi in città mi accompagnava sempre mio padre, poi a 15 anni sono andato a vivere in collegio della squadra dove giocavo con tanti altri ragazzi ed eravamo tutti insieme lì. Sono stato lì due anni e sono entrato in prima squadra».

CONSIGLI – «Non pensavo a dove sarei arrivato e a dove sono ora, pensavo a divertirmi da bambino, a giocare, ad imparare, ad ascoltare gli allenatore, a cosa potevo migliorare. Non pensavo molto ad arrivare ad un certo livello, mi divertivo, sapevo di essere giovane e pensavo di stare con i miei amici. Quando sei più grandi, inizi ad avere più sogni, ma io ti consigli di divertirti e di fare più gol possibili».

BABBO NATALE PER IL MONDO – «E’ una domanda questa domanda. Penso che ci siano tante cose che i bambini debbano avere ma la cosa più bella è augurarvi sempre il meglio, tanta felicità, di poter stare con la vostra famiglia, l’unica cosa che conta è essere felice».

IL RUOLO – «Io ho fatto diversi ruoli, ho iniziato da attaccante sinistra, poi al centro, più dietro. Ho giocato spesso in posizioni diverse».

I SOGNI DA CALCIATORE – «Ne ho due: uno è quello di poter vincere la Champions, ovviamente con la Juve, e l’altro invece è quello di poter vincere il Mondiale con l’Argentina».

LA JOYA – «Ha inventato questo soprannome un giornalista in Argentina perché quando ero molto giovane dicevano che tante squadre italiane volevano prendermi e il mio valore era alto, come quello di un diamante».

LA 10 DELLA JUVE – «Molto importante. C’è tanta responsabilità, lavoro ma sono orgoglioso di poter farlo. Da quando la Juve mi ha chiesto di indossare questo numero così importante per la storia di questo club, non è stato facile deciderlo perché sapevo cosa portava dietro ma al di là del numero, lo stemma davanti conta ancora di più ed è più difficile da portare perché dobbiamo essere pronti a dare il massimo per questa squadra».

LA CHIAMATA DELLA JUVE – «All’inizio ho chiesto se fosse uno scherzo, in quel momento c’erano altre squadre che mi stavano cercando ma al mio procuratore ho detto di sentire solo la chiamata della Juve. Da quando è arrivata la prima, non avevo più altro in mente».

GLI AFFETTI IMPORTANTI – «Adesso che giochiamo senza tifosi è strano, ci manca tantissimo. Per me giocare senza tifosi è diverso, non è mai successo ma penso che la famiglia è sempre con noi a casa, invece i tifosi trasmettono un’energia speciale allo stadio».

DOPO IL CALCIO – «Ancora non ho pensato a come sarà il mio futuro, penso che il lavoro di allenatore non sia facile, è molto impegnativo e difficile. Ora sto iniziando a conoscere altri mondi e mi stanno iniziando a piacere altri mondi che non c’entrano con il calcio ma non so se saranno parte del mio futuro. Spero di poter giocare per almeno altri 10 anni e in seguito penserò a cosa fare».

EMOZIONI GOL ALLO STADIUM – «E’ unica, molto bella. Una sensazione di soddisfazione incredibile, noi lavoriamo tantissimo per quel traguardo, per vincere e festeggiare con voi. Non vediamo l’ora che torniate allo stadio per festeggiare con noi. Alla fine noi attaccanti vogliamo segnare e pensiamo a come esultare, ma è un’emozione unica: è difficile trovare le parole per descrivere quel momento. Sono tante emozioni di gioia insieme».

DRIBBLING A 8 ANNI – «Con il tempo si impara. Quando ero giovane non ero così bravo, ho imparato giocando con gli amici, con i miei fratelli. Passavo tanto tempo con il pallone, mia mamma si arrabbiava quando rompevo qualcosa in casa. Io cercavo sempre di imparare qualcosa e provare tante cose».

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