Juve-Lazio regala una novità: sentire la voglia di futuro
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Juve-Lazio regala una novità: sentire la voglia di futuro

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Juve-Lazio, una partita che ci lascia come regalo una novità: quella voglia di sentire come sarà il futuro

Ci sono un po’ di premesse doverose da fare per capire l’importanza del 3-1 sulla Lazio. Era il primo scontro diretto tra big (di che livello, lo si capirà). Arrivava dopo la sosta delle nazionali, che complica sempre le cose un po’ per tutti. Ha goduto del sostegno del tifo come non si sentiva (e non solo dal punto di vista dell’udito, ma anche del sentimento) da un bel po’ di tempo. Infine, c’è una ricorrenza, anche se molti opinionisti di parte la dimenticano: quando Allegri e Sarri si incontrano, il primo di solito vince le partite, l’altro domina le statistiche. Stavolta, però, il copione è stato ben diverso dalla sfida all’Allianz dello scorso campionato: Juve ad aspettare e colpire, per un inesorabile 3-1. L’approccio bianconero è stato assolutamente forte, siamo stati costantemente davanti, abbiamo esercitato un recupero palla alto e lo abbiamo fatto non per accenderci (fortunatamente oggi non ce n’era bisogno). É l’organizzazione del pressing che ha funzionando, che ha inibito la costruzione del gioco di una Lazio messa in soggezione.

Ma tutto questo non basterebbe. Ci vuole poi il surplus di un’azione nuova, che dà scacco matto: Locatelli a fare da rifinitore di prima, Vlahovic che colpisce di destro con una velocità d’esecuzione che di solito ha col suo piede forte. La Juve insiste, anche sul livello fisico esprime superiorità, non importa se prende due gialli con Miretti e Bremer (il secondo assai discutibile), è evidente che gli avversari patiscono. E poi, appena la gara sembra svoltare e Szczesny è obbligato a un intervento non semplice su Kamada, arriva il 2-0 di Chiesa. Che prima della rete aveva agito tanto e bene sulla sinistra, ma che al momento buono si comporta come un attaccante d’area vero: su una palla mal controllata da Rabiot calcia prontamente, sorprende Provedel sul suo palo, offre un’ulteriore dimostrazione che forse Allegri non ha proprio torto ad avergli affidato la missione di fare una quindicina di gol in stagione. La parte finale del primo tempo sembra esattamente quel che ci si aspettava e che il più delle volte è successo quando Allegri ha incontrato Sarri: avversari avanti, difesa bianconera serrata, molta concentrazione e il simbolo ne è McKennie, che contro il giocatore più effervescente del tridente d’attacco – uno Zaccagni dai tanti spunti – chiude con una certa sistematicità in corner o lo lascia eventualmente concludere da fuori, senza che ne risultino pericoli.
Il doppio vantaggio non produce rilassamenti inopportuni dopo l’intervallo. La Juve riparte benissimo, potrebbe chiuderla nel primo quarto d’ora se Rabiot non si mangiasse un gol di testa che non è da lui, ne ha fatti di molto più difficili, compreso quello dell’azione precedente. Poi cadiamo nell’errore di costruzione dal basso che origina il 2-1. A quel punto verrebbe da pensare che certe cose non siamo capaci di farle e quindi non è il caso di provarle, quando però l’immediata risposta due minuti dopo è che McKennie va oltre la già positiva gara fatta e inventa un lancio per Vlahovic, che si inventa un gol da grande bomber, in enorme fiducia e, soprattutto ancora una volta di destro. Come dire: sbagliamo quel che dovremmo fare in automatico, ci riesce invece l’improvvisazione. In più, l’exploit di Dusan è ancora più notevole per come segna non d’istinto, ma preparando la conclusione, andando ben oltre le abitudini anche di altri pregevolissimi exploit fatti precedenza.

Insomma, si passa dalla buccia di banana (per essere buoni con la nostra superficialità) al colpo da ko che chiude definitivamente la gara, anche se a guardare l’orologio mancherebbe ancora molto, metà del secondo tempo. Ma non c’è altro di importante, se non che la Juve riesce a spezzare i ritmi e che la difesa in area di rigore si conferma sostanzialmente un castello senza spifferi. Con un dettaglio conclusivo non di poco conto: chi entra, anche nei minuti finali, a giochi praticamente fatti, ci mette l’anima per mostrarsi pronto: Milik nei recuperi difensivi, Kean con gli strappi che sa fare anche quando sembra perdere il passo, Weah che si mangia un gol a un metro dalla linea anche perché corre come un centometrista.
Sintesi finale: Juve da scudetto nel primo tempo, da 4° posto nella ripresa, tifo da Champions e un Vlahovic che ci dà una bella voglia di futuro che non immaginavamo da un bel po’ di tempo a questa parte.

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