Juve Siviglia, tra la cronaca e la storia
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Juve Siviglia, tra la cronaca e la storia

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Juve Siviglia tra la cronaca e la storia. I bianconeri la pareggiano all’ultimo secondo grazie a Federico Gatti

La storia e la cronaca. Credo che in JuventusSiviglia, com’è giusto che sia per una semifinale di una competizione europea, entrambi gli ingredienti andassero presi in considerazioni, come se giocassero pure loro. Un po’ quello che molti hanno detto a proposito del derby milanese di Champions: il presente dice Inter, splendida nell’ultimo periodo, ma la tradizione nella manifestazione dice che il Milan quelle gare le sa affrontare con un di più, come si era visto con il Napoli. Come sia andata a finire è noto, con un verdetto maturato persino troppo in fretta rispetto a qualsiasi previsione. Nel nostro caso, invece, il Siviglia reduce da una Liga alquanto deludente, rivendicava il diritto a credere alla settima coppa, il prolungamento di un recente passato incredibile, che portava molti tifosi spagnoli felici di riviverlo all’Allianz, assolutamente fiduciosi circa l’esito. Ora, non è che noi non abbiamo una storia internazionale, anche se in parte è travolta o condizionata – a seconda dei punti di vista e degli stati sentimentali – dalle troppe finali perdute. Se avete notato, però, alla vigilia non se n’è parlato. I fatti di quest’anno, l’assurda incertezza sulle nostre partecipazioni a campionati e coppe per ragioni extra-campo, fanno sì che non si viva nulla in termini di epica sportiva. Anzi, il pensiero principale è che una coppa non vada ad arricchire la Sala dei Trofei dello Juventus Museum, ma che una vittoria possa servire come granello di sabbia da infilare nella macchina delle punizioni giudiziarie, in modo da distruggerne gli ingranaggi.

Tutto questo ha a che fare con quello che abbiamo visto? Per quanto riguarda la Juve sì. La cronaca faceva pensare che la squadra fosse pronta a una gara aperta alle molte possibilità. Non tanto perché – bene o male – in Europa League siamo riusciti a cavarcela, ma per quanto visto a Bergamo. Contro quella che per ritmi di gioco e mentalità è una squadra europea, la Juve era riuscita a prevalere. A fatica, appoggiandosi ai pali altrui, col gol della sicurezza nei tempi di recupero, ma segnali di vitalità domenica a pranzo se n’erano visti a sufficienza per nutrire la speranza di una bella partita. Un match con un altro 2-0, che non ti qualifica ma ti regala consapevolezza e serenità.
E invece no. Tralasciando alcune partite mai nate di quest’annata – l’ultima delle quali la semifinale con l’Inter in Coppa Italia – il primo tempo è stato tra i peggiori. A parte Di Maria, gli altri hanno fatto giocate elementari. Nessun gusto per la creatività, per la giocata coraggiosa, per saggiare il proprio valore. Così nasce la frustrazione, si alimenta la timidezza, per fare le cose corrette si finisce per non produrre assolutamente nulla dopo essere stati in svantaggio. Poi c’è l’altro lato della questione, che forse è alla radice del nostro programmatico non gioco: quando si esce bene dalla difesa, si vedono finalmente passaggi a lunga gittata e si vanno a trovare uomini liberi, chi arriva sulla trequarti si fa mangiare dagli avversari. Lentissimo nel mettersi in moto, indeciso se andare da solo o aspettare i compagni, finisce comunque per sbagliare controlli di palla che per giocatori di un certo livello non sono comprensibili (Vlahovic su tutti, ma non il solo).


All’inizio del secondo tempo, con gli ingressi di Chiesa e Iling, quanto meno si è vista una Juve più determinata, anche se zavorrata dalla poca lucidità e da una certa frenesia. Sono due, però, i meriti non banali di una ripresa con poche occasioni e tanti errori: il primo è non avere concesso nulla, a differenza del primo tempo. Quasi che i continui ritocchi di moduli e posizioni dei giocatori in campo siano solo serviti a questo, a garantirci più solidità dietro che a proporre qualcosa di davvero efficace davanti; il secondo, ovviamente, è avere trovato il gol all’ultimo secondo con un corner, che annulla la gara e rinvia tutto al ritorno. Dove si parte alla pari nel risultato. E si potrà anche trovarsi davanti, se un gruppo con limiti enormi si convincerà che c’è ancora l’occasione per scrivere la storia.

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