Ravanelli ricorda Fortunato: «Quello che avrei voluto dirti, Andrea»
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Ravanelli ricorda Fortunato: «Quello che avrei voluto dirti, Andrea» – ESCLUSIVA

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Fabrizio Ravanelli, in esclusiva su JuventusNews24, ricorda Andrea Fortunato nel giorno più triste

Ci sono cose che non dimentichi perché non vuoi, perché non puoi. Fabrizio Ravanelli, 26 anni dopo, non dimentica Andrea Fortunato. Un ragazzo 23enne, un giocatore della Juventus, un amico intimo portato via dalli strascichi di una leucemia. JuventusNews24 ne veicola il ricordo, inevitabilmente doloroso e commosso, ma gelosamente custodito.

Fabrizio, sono passati 26 anni dalla scomparsa di Andrea. Quanto è ancora forte il dolore?
«Non si può reprimere, come non si può cancellare il suo ricordo, indelebile nel cuore. Il mio pensiero va a tutta la sua famiglia, al fratello Candido a cui sono molto legato. Oggi provo grande dolore e grande amarezza. Non è riuscito a vincere questa battaglia nonostante abbia lottato fino in fondo. E pensare che lui era uno spirito combattivo, uno che non si arrendeva mai… Era forte, duro di carattere: non ci arrivi per caso in Nazionale e nella Juventus. Mi ha insegnato tanto».

Cosa esattamente? Si è sentito cambiato come uomo dopo quella tragica esperienza?
«Mi ha insegnato i veri valori della vita, mi ha fatto maturare, mi ha reso più forte. Ho capito che la salute e la famiglia sono la cosa più importante. Non c’è niente che si possa paragonare alla vita. Io ho perso anche mio papà, che tra l’altro era legatissimo ad Andrea. La precedente esperienza mi ha fatto vivere questo straziante lutto in modo diverso».

Dalla Nazionale militare alla Juventus: come è evoluto il vostro rapporto negli anni?
«Si è fortificato sempre di più, quando è arrivato alla Juventus è stato qualcosa di grandioso. Oltre a un amico era un grande giocatore. Un ragazzo giovane con cui avevo la possibilità di condividere la quotidianità: passavamo spesso le serate insieme, a casa o andando al cinema».

C’è stato un periodo in cui alcuni tifosi lo definivano “lavativo” e “malato immaginario” per il suo rendimento sottotono. Poi la straziante scoperta…
«Lo venimmo a sapere una mattina, finito il campionato. La sera prima Andrea si era sentito male al ristorante. Arrivarono il vicepresidente Bettega e il dottor Agricola. Ci dissero che era gravemente malato e che era stato ricoverato. Per noi fu una notizia massacrante, ci fece proprio male».

Nei mesi della malattia arrivò anche a cedergli la sua a casa a Perugia. Che momenti furono?
«Duri, durissimi. La cosa paradossale è che era lui a fare forza a me. È sempre stato convinto di riuscire a vincere questa battaglia. Non conosceva la parola sconfitta: era sicuro che ce l’avrebbe fatta. E invece purtroppo ha perso la partita più importante… Ma per me è come se avesse vinto».

 Una sola immagine con cui vuole ricordarlo?
«Tutte quelle sere in ritiro insieme raccontandoci la vita davanti a una tazza di camomilla e a un pezzo di dolce».

C’è un qualcosa che gli direbbe ora, un qualcosa che non è mai riuscito a comunicargli?
«Sì, c’è. Non sono riuscito ad andare al suo funerale perché ero in Nazionale. Volevo dirgli che mi dispiace di non essere riuscito a salutarlo per l’ultima volta, ma sono sicuro che lui avrebbe capito. Anzi, che avrebbe preferito così. Vorrei soltanto dirgli che resterà per sempre nel mio cuore e che non lo dimenticherò mai».

Si ringrazia Fabrizio Ravanelli per disponibilità e la cortesia mostrate in occasione di questa intervista

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