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Se il calcio diventa sfruttamento lavorativo

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Nel calcio moderno si gioca troppo? La domanda non è certo nuova (se ne discute da più di dieci anni), ma mai come in questa stagione il problema dell’eccessiva usura dei giocatori sta salendo alla ribalta della cronaca, complici le plateali proteste di molti allenatori e presidenti di club che, stanchi di vedersi falcidiata la rosa dagli infortuni, hanno deciso di rompere ulteriormente il silenzio ponendo il problema presso le istituzioni sportive.

Che si tratti di lievi affaticamenti muscolari o di traumi più seri che costringono giocatori pagati milioni di euro fuori dai campi per diversi mesi, poco cambia: il calendario sempre più fitto di appuntamenti spinge i tesserati ad incrementare il numero delle loro prestazioni, aumentando però anche il rischio di subire degli infortuni.

Proteste sempre più accese

E così, dinanzi a questo scenario, non stupisce più che giungano forti le critiche da parte di molti dei protagonisti del nostro massimo campionato. Qualche settimana fa, per esempio, l’allenatore della Lazio Maurizio Sarri aveva definito “folle” il calendario, dichiarandosi arrabbiato (la parola esatta era un’altra, ma la omettiamo) con Uefa, Fifa e Lega Serie A, rei di “mandare i ragazzi al macello senza che nessuno intervenga”.

Guai poi a pensare che le lamentele siano solo di stampo tricolore. Dall’Inghilterra aveva precedentemente tuonato in modo simile anche Pep Guardiola, allenatore del Manchester City, che aveva invitato i club a fare pressioni su Fifa e Uefa affinché si possa cambiare strada.

Sempre oltre Manica, una voce ancora più forte è stata quella di Erik Ten Hag, dei rivali del Manchester United, che ha evidenziato come i giocatori non siano più in grado di reggere questo sovraccarico, sottolineando come il numero degli infortunati sia “impressionante”. Il coach olandese ha poi ricordato come la scorsa stagione abbia avuto come protagonista anche la Coppa del Mondo e sia stata così particolarmente usurante, e come terminati i campionati ci sia stato l’appuntamento con la Nations League, che ha ridotto fortemente i giorni di riposo estivi.

Un numero di infortuni mai così alto

Le proteste di una parte degli allenatori non sono peraltro una mera percezione di rischio, bensì l’espressione di un dato statistico che è ben corroborato dalla realtà dei fatti. Dall’inizio della stagione ad oggi sono infatti stati più di 70 gli infortuni che sono occorsi ai giocatori del massimo campionato di calcio italiano, determinati in buona parte dal numero sempre più alto di partite e dai minori tempi di recupero tra un impegno e l’altro.

Insomma, turni infrasettimanali, partite ogni tre giorni, impegni delle nazionali e tornei estivi sono solamente una parte delle motivazioni che stanno inasprendo gli impegni per gli atleti, con ciò che ne sta conseguendo: per aumentare i ricavi (soprattutto da diritti tv) si corre il rischio di aprire le porte dell’infermeria per una parte sempre più rilevante di tesserati.

Se poi si dovesse guardare al futuro, si potrebbe scoprire con ancora maggiore facilità che la tendenza è tutt’altro che sulla via per sgonfiarsi: la Uefa ha ad esempio varato la sua nuova Super Champions League, la Fifa ha creato il nuovo Mondiale per club, le leghe nazionali non vogliono certamente ridurre l’ampiezza dei campionati (cosa che invece produrrebbe meno partite), e così via.

Quale soluzione?

In questo scenario, ci si può anche validamente domandare quale potrebbe essere la soluzione, cosa che è peraltro ben difficile da individuarsi considerato che tutte le ipotesi finora formulate (allargare le rose, ridurre le partite, ecc.) sembrano essere state già rimandate al mittente.

Dall’Inghilterra c’è poi stata la proposta di Vincent Kompany, tecnico del Burnley, che ha auspicato l’introduzione di un limite massimo alle presenze stagionali dei calciatori (60 o 65, amichevoli comprese). Guardiola invita poi a rivedere le regole sui super recuperi: dopo la partita del City contro l’Arsenal, alla Community Shield, il tecnico catalano ha infatti condiviso come i recuperi extra large aggiungono 8-10 minuti a partita, rendendo ancora più pesante l’impegno del calciatore.

C’è poi una questione, forse fin troppo sottovalutata: siamo sicuri che incrementare il numero delle partite in programma possa accrescere in modo proporzionale anche i ricavi?

Qualcuno lancia l’allarme sul potenziale effetto nausea che potrebbe caratterizzare il calcio. Ovvero, superata una certa soglia di partite, non è escluso che possa verificarsi un po’ di desiderio di allontanamento da parte dei tifosi, anche quelli più incalliti, a causa del depauperamento del prodotto.

Come se non fosse sufficiente, ci sono anche numerosi altri aspetti non marginali che un simile scenario sta determinando. Per esempio, le rose sempre più incerte delle squadre stanno condizionando le politiche dei bookmaker, sempre più alla ricerca delle giuste quote sui migliori siti come quelli di scommessesulweb.com. O, ancora, si consideri come un maggiore numero di partite sia spesso inteso come l’elemento che sta determinando un incremento delle tariffe di abbonamenti alla pay-tv, oppure una maggiore spesa per chi desidera seguire gli appuntamenti della propria squadra del cuore.

Insomma, una vicenda non certo complessa e non certo priva di risvolti, il cui svolgimento non ha un esito predeterminato, eccezion fatta per la fila fuori dalle infermerie dei club della massima serie…

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