Tim Weah, una storia americana
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Tim Weah, una storia americana

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Tim Weah, il nuovo acquisto della Juve, in Italia è conosciuto per essere il figlio di George, ma la sua storia è anche una storia americana

Di Nicola Veneziano

Pensando a Tim Weah non si può non pensare al padre George. Anche Sport Week, quando ha dovuto metterlo in prima pagina con la maglia della Juve qualche settimana fa, assieme ad un altro figlio d’arte come Marcus Thuram, lo ha rappresentato con alle spalle la figura – protettiva, ma anche imponente e a tratti scomoda – del padre.

La Serie A è il campo in cui il padre George ha conquistato il pallone d’oro, primo e per ora unico africano a riuscirci. Non è strano quindi che la narrazione nel nostro paese renda imprescindibile il richiamo continuo alla sua figura. Ma ridurlo solo ad un figlio d’arte è forse riduttivo per un calciatore che a 23 anni ha già due campionati francesi – da comparsa con il PSG, ma da protagonista con il Lille – 31 presenze con la nazionale americana, condita anche da un gol nell’ultima Coppa del Mondo. Guardandolo più da lontano, inoltre, si scorgono delle radici nel suo vissuto e nel suo calcio che si discostano molto dalla figura paterna.

A differenza di altri figli d’arte, come il suo compagno di squadra Chiesa, cresciuto nelle giovanili della Fiorentina perchè l’ultima fase della carriera del padre Enrico si è divisa tra tre squadre toscane – Fiorentina, Siena e Figline – il percorso che ha portato Weah a firmare con la Juve non è stato modellato sulle orme del padre George, ma della madre Clar.

La storia di Timothy Weah, come è stata raccontata da Sam Stejkal su The Athletic, piuttosto che una storia di dinastie calcistiche, è una storia di successo americano, le cui radici sono a New York e in Giamaica.

La madre di Tim, Clar Maire Duncan, è nata a Kingston, Giamaica, figlia più piccola di una numerosa famiglia che emigrò a New York nel 1979. Fin dalla sua infanzia in Giamaica lei e i suoi numerosi fratelli e cugini hanno giocato a calcio e la cosa non è cambiata una volta approdati negli States. Nel 1990, mentre lavorava in una banca di Manhattan, l’incontro con George Weah e tre anni dopo il matrimonio. Da lì l’arrivo in Europa, a Parigi, dove nacquero George Jr. e Martha. A differenza dei suoi fratelli però, Tim nasce a Brooklyn ed esclusa una breve parentesi in Florida, ha vissuto tutta la sua infanzia a New York.

«Do a sua madre un grosso credito sulla sua crescita» ha commentato Michael Duncan, fratello di Clar e zio di Tim «Il 75% del suo successo deriva dal suo talento e la sua dedizione – prosegue parlando del nipote – ma il restante 25% è merito della madre, che lo ha spronato nei momenti difficile. Il padre un po’ c’era ed un po’ no, visti gli impegni in campo e poi in politica. Quando c’era dava sempre consigli e suggerimenti, ma è Clar ad aver fatto gran parte del lavoro nel crescerlo».

L’infanzia di Tim si svolge in gran parte nel quartiere di Rosedale, un lembo di terra nel Queens tra l’aeroporto JFK, Nassau e Long Island. Si tratta di una zona della Grande Mela in cui hanno scelto di vivere le comunità caraibiche di Giamaica, Haiti, Trinidad Tobago e Guyana, che al censo americano rappresentano l’80% degli abitanti di quella zona. La famiglia Weah, che si è trasferita poi in Liberia a seguito della carriera politica di George, ha mantenuto una casa proprio in quel quartiere. Lo zio Michael invece vive ancora a Rosedale, dove gestisce un ristorante giamaicano e soprattutto è il presidente del Rosedale FC, la squadra dove Tim ha davvero mosso i suoi primi passi su un campo da calcio, a Idlewild Park.

«Timothy veniva qui che ancora non camminava – prosegue a raccontare la zio a The AthleticClar allenava la squadra della sorella. Un anno e mezzo dopo già calciava e pensai: ‘per essere così piccolo, già tira molto forte!». Assieme al cugino Kyle, che ora gioca in Belgio all’Oostende, i due entrano nella squadra del quartiere. In un clima famigliare, in cui l’accento di New York si mescola con quello giamaicano, Tim e Kyle crescono sempre con un pallone tra i piedi: «Anche dopo le partite rimanevano al campo. Erano una dozzina di bambini e dalle 11 di mattina alle 7 di sera tutto quello che facevano era giocare, tutti contro tutti».

In seguito i due passano al BW Gottscheeuna Academy calcistica tra le più quotate di New York e degli USA, che fa parte del progetto MLS Next – ma non dimenticano il Rosedale: «Una volta Tim, Kyle un’altra manciata di ragazzi che aveva cambiato squadra con loro avevano una partita in contemporanea con il Gottschee – racconta Michael -. Perdevamo 7-0 alla fine del primo tempo. Nel secondo si presentano e mentre i genitori dell’altra squadra si chiedevano chi fossero, avevano già pareggiato 7-7».

Anche diventato professionista, Rosedale e la Giamaica rimangono nel suo cuore. Lo scorso inverno, durante la sosta delle nazionali gli USA andarono a Kingston per giocare contro la nazionale giamaicana. Sull’aereo che accompagnava gli Stati Uniti Tim cominciò a raccontare della sua infanzia, del suo quartiere, consigliando ai reporter in viaggio con loro i migliori ristoranti giamaicani di New York. Ad uno di loro disse: «Per me il nostro inno è quello che conta. So che domani lo canterò come se il cuore mi esplodesse nel petto. Ma a sentire il loro, vedendo i loro giocatori orgogliosi della loro cultura, ecco, sarà altrettanto importante per me. È anche la mia cultura e ne sono orgoglioso. Sarà una bella partita». Prima della partita i suoi parenti, scherzando, gli chiesero di non andarci troppo pesante. Beh, risultato finale 1-1 con un suo gol.

Il nome aiuta, è inutile negarlo e le giovanili al PSG lo dimostrano, ma come in ogni storia, ci sono molti modi per raccontarla. Il figlio del grande George Weah arriva alla Juve al termine di una storia di calcio americana. Il figlio di un’immigrata giamaicana, cresciuto dalla comunità caraibica di New York pronto a farsi un nome all’estero. Il resto dipenderà da Timothy.

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