Il Tottenham e quella "spursiness" quando conta davvero: la Juve deve crederci
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Il Tottenham e quella “spursiness” quando conta davvero: la Juve deve crederci

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Bianconeri stasera in campo per centrare la qualificazione ai quarti di finale di Champions. Di fronte il Tottenham: squadra fisica, rapida e tecnica. Ma, la Storia insegna, anche terribilmente sfigata

D’altra parte nessuno aveva detto che sarebbe stato facile. Il cammino europeo di Madama passa oggi dalla strettoia infuocata di Wembley. L’avversario, il Tottenham, è più che mai temibile. Non imbattibile eh, temibile. Fisicità impressionante, spiccate qualità offensive, ritmi di gioco esagerati e qualche “pasticcione” difensivo: sono queste le caratteristiche, tra l’altro molto british, della squadra di Pochettino. I bianconeri hanno avuto modo di conoscerle, una ad una, nella gara di andata. Si riparte dal “bene ma non benissimo” del 2-2 dello Stadium. Se la domanda è “questa sera servirà l’impresa?” La risposta è “no”. Se la domanda è “questa sera servirà una grande partita?” La risposta è “sì”.

C’è però un’alleata preziosa che, probabilmente, la Juventus ignora di avere. Si chiama “spursiness“. La sua storia è antica come il mondo e merita, oggi in particolar modo, di essere raccontata. C’era una volta un cavaliere di nome Sir Henry Percy, capitano di re Enrico IV nelle guerre Anglo-Scozzesi del XIV secolo. Questo combattente aveva l’abitudine di cavalcare indossando degli speroni (“Spurs) andando a caricare col suo destriero là dove la battaglia era più fieramente combattuta. Proprio per tale peculiarità Percy si guadagnò l’appellativo di “Hotspur” (Sperone di fuoco). Un soprannome che, nel 1882, i fondatori de Tottenham decisero di far proprio (il casato di Percy possedeva le terre nelle Tottenham Marshes, diventate secoli dopo l’area nord di Londra).

Da coraggiosi a sfigati

L’orgogliosa accezione del termine “Hotspur” si è però sbriciolata negli anni. Il fiero epiteto ha assunto tutta un’alta valenza, ben diversa da quella originaria. Se avete avuto modo di frequentare con discreta assiduità i pub inglesi, avrete senz’altro sentito pronunciare, tra una birra e la l’altra, la frase «That’s so spursy», in tono chiaramente dispregiativo. Oggi l’essere “spursy” significa una cosa sola: essere sfigati. La “spursiness” è appunto quella innata capacità di fallire clamorosamente nel momento più importante. E la spiegazione di tale mutanento semantico è unicamente attribuibile alla storia del club londinese. Il Tottenham gioca bene, sorprende gli addetti ai lavori, segna tanti e spettacolari gol ma, alla fine, viene meno quando c’è da concretizzare le proprie ambizioni.

È la condanna di un club che in 136 anni ha vinto solo due Premier (l’ultima nel 1961) e che negli ultimi due anni, con il miglior attacco e la miglior difesa del massimo campionato inglese, non è mai riuscito ad alzare il trofeo della Barclays. Una sorta di destino immutabile da cui squadra e tifosi sono inesorabilmente quanto romanticamente perseguitati. La sfiga cosmica del Tottenham Hotspur è l’essenza di una squadra destinata a non farcela, perché è il suo stesso nome a imporlo. Juve devi crederci, il Tottenham è una squadra di sfigati. La Storia, d’altra parte, non ha mai mentito. Non vediamo perché debba cominciare proprio stasera.

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