Verona Juve: si vinceva quando si faceva peggio, il pareggio lascia altri punti interrogativi
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Verona Juve: si vinceva quando si faceva peggio, il pareggio lascia altri punti interrogativi

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Verona Juve: si vinceva quando si faceva peggio, il pareggio lascia altri punti interrogativi. L’approfondimento

Ammetto di avere sbagliato la lettura della gara in anticipo. Ero fortemente convinto che la Juve sarebbe uscita dal periodo di 1 punto in 3 gare e 2 sconfitte consecutive tornando a vincere con un episodio favorevole e una gestione classica di Allegri: dietro a difendersi. Lo pensavo un po’ perché a questo punto pensavo che si sarebbe tornato alle certezze maturate fino a un certo punto. E poi per quell’insistenza sui “dettagli difensivi” da correggere, proclamati dal mister nella conferenza della vigilia. Che un bel dibattito sui social lo avevano generato, per quella valutazione sulla prestazione di Juventus-Udinese, salvata per il numero di occasioni prodotte. Dimenticando che in quei 90 minuti c’era stata una novità non banale: i continui ridisegni di modulo (4-3-3, 4-2-4) che non avevano portato nulla di significativo davanti. E invece no, Verona è stata una gara completamente diversa. La più aperta dell’anno, probabilmente, un continuo inseguirsi sul ring. Un quadro rovesciato rispetto alle consuetudini, che ha generato un altro pareggio. E, francamente, non saprei se qualche indicazione da sviluppare per il nostro immediato futuro, talmente è stato tutto così diverso dal solito, senza però riuscire a cambiare il risultato.

Che 90 minuti abbiamo visto ieri sera? In una gara dove il 4-4-2 frizzante del Verona porta a campo lunghissimo già dalle prime battute, la Juve accetta l’impostazione e risponde colpo su colpo. Dimostra volontà, non lucidità. E sbaglia regolarmente l’ultimo passaggio, denotando i soliti limiti tecnici quando deve giocare in velocità, con approssimazioni nei controlli e, talvolta, persino nelle scelte. Il tema non cambia mai, un box to box che sembra per nulla influenzato dal vantaggio invero bellissimo di Folorunsho, una di quelle giocate che potrebbe anche indurre a pensare che non sia davvero periodo. O che in questo campo davvero la tradizione abbia un peso, visto che ne hanno vinte più loro di noi.

Cosa emerge con maggiore evidenza in questo andamento? Non zavorre psicologiche, la Juve non sembra avvilupparsi in brutti pensieri, era molto più frustrata e nervosa nelle gare precedenti. Non un deficit di dinamismo, anche se non c’è neanche il contrario, una superiorità nella velocità. Pesano maggiormente una diversa determinazione, che si esprime nel nostro essere per lo più in ritardo sulle seconde palle. E, cosa più grave, una fisicità mal gestita, riassunta nella prestazione nei primi 45 minuti di Rabiot. Che perde contrasti dove dovrebbe vincere e, soprattutto, non porta a termine cavalcate a briglia sciolta che sono concesse dalla libertà di movimento che ha a disposizione e anche da come la squadra lo lancia. Anche Yildiz, che pure ha l’intelligenza per proporsi sul cerchio di centrocampo e contribuire nelle uscite, manca nello spunto decisivo.

Tutti sembrano un po’ giocare per proprio conto, si accendono, portano palla e “sperano” che qualche compagno li abbia seguiti. Non è che manchi, peraltro, anche un’idea strategica: sono tanti i lanci per McKennie, ma non riusciamo a creare vere occasioni su quel versante. E più in generale, è davvero bizzarro che al termine del primo tempo di opportunità dall’una e dall’altra parte non se ne siano create, a eccezione dei 2 gol, che hanno più che mai un carattere episodico, basti considerare che il nostro rigore nasce da una rimessa laterale.
L’inizio ripresa è negativo: non solo non si riesce a giocare quando si ruba palla, ma nel copione del primo tempo dove si gioca a ping-pong – che per la verità ha ben altra raffinatezza di questo gioco confuso – prendiamo un gol che sembra condannare i nostri squilibri, il non saper rispondere adeguatamente agli impulsi altrui. Si pareggia subito, con un exploit che potrebbe essere persino didascalico per tutto quel che c’è e non facciamo quasi mai: cambio di gioco di Yildiz arretrato, Gatti che va a pressare alto, Locatelli che fa un assist di prima e Rabiot che si ricorda come si fa a trovare la porta.

A quel punto, sul 2-2, ci sono due motivi a rendere interessanti la gara: psicologicamente dovremmo essere favoriti e il 4-3-3 che Allegri aveva pensato sullo svantaggio come risposta d’emergenza viene proposto con una certa convinzione. Cosa nasce da questa scelta? Una gara che non cambia in termini di proposta offensiva, la Juve prende campo ma è percepibile che si muova un po’ sulle uova, non sa bene cosa fare anche se ha voglia di impratichirsi, con Alcaraz il più positivo. Permangono gli sbandamenti che portano il Verona a tirare da fuori con una certa efficacia. Chiesa ha due spunti che non riescono a risultare decisivi. C’è una quantità di imprecisioni davvero eccessiva e tra perdite di tempo, falli, contrasti e allacciamenti non si prende ritmo. Anche se abbiamo vinto gare giocando decisamente peggio, è un altro pareggio che ci consegna grossi punti interrogativi su gli ultimi tre mesi della stagione.

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