Claudio Marchisio: «La mia vita alla Juventus è e sarà sempre solo una»
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Claudio Marchisio: «La mia vita alla Juventus è e sarà sempre solo una» – ESCLUSIVA

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Claudio Marchisio in esclusiva su Juventus News 24: “Il futuro? «In questo momento voglio studiare per farmi trovare pronto alle possibilità»

La Juve nel cuore, e nella vita. Non c’è e non ci sarà mai un prima e un dopo nel percorso di vita di Claudio Marchisio caratterizzato dal bianco e il nero. Perché – sostiene – «non c’è bisogno di tesserini o contratti per considerarmi uno Juventino». Di seguito il Principino in esclusiva per JuventusNews24.

Ciao Claudio, prima di tutto: come stai? Questo periodo ci ha insegnato a dare più valore a questa domanda.
«Hai ragione, e chissà che d’ora in avanti non si inizi anche ad ascoltare la risposta del nostro interlocutore affinché un semplice ‘ciao, come stai?’ non resti una convenzione ma qualcosa di più profondo. Se una cosa spero abbia insegnato questo periodo è senza dubbio quella di dare più valore alle relazioni umane e a quel senso di comunità che stavamo perdendo».

L’emergenza ha fermato definitivamente i campionati giovanili, non è un gran peccato per la crescita di tanti ragazzi? Inciderà sul loro percorso?
«Penso che la salute dei nostri ragazzi sia la cosa più importante. Si tratta di una scelta molto matura a mio parere, i bambini e le loro famiglie devono poter stare tranquilli. Ricordiamoci che a livello giovanile il calcio deve rimanere un divertimento, uno strumento educativo ma mai una professione. Non credo inciderà nel percorso di crescita, si tratta di un fenomeno generalizzato che ha toccato tutti quanti allo stesso modo. Ci sarà modo di recuperare questo tempo».

Tu che sei cresciuto nella Juve, ci sveli perché si ha la sensazione che il percorso giovanile bianconero faccia diventare in fretta uomo ancor prima che calciatore?
«La mia esperienza mi ha portato per fortuna ad indossare soltanto una maglia, quindi non sono in grado di fare un confronto tra la Juve e le altre società. Sicuramente è innegabile che la Juventus si ponga nei confronti dei propri ragazzi come una vera e propria scuola. Nella quale viene insegnato il rispetto dei ruoli e delle regole, la serietà nel processo educativo e un po’ di sana competizione o forse meglio chiamarla ambizione. Da ragazzo non nascondo che mi sono sentito sempre molto più maturo dei miei coetanei, e questo aspetto ha poi avuto dei risvolti nelle mie scelte di vita personale e famigliare».

C’è stato un momento in cui il giovane Claudio ha capito che il sogno di indossare quella maglia poteva diventare anche il lavoro della sua vita? Lo ricordi? E’ cambiato qualcosa da quel momento?
«Non lo dico per falsa modestia. Ma il momento in cui ho capito che il calcio sarebbe potuto diventare un lavoro è stato il primo anno dal ritorno al prestito dell’Empoli. Sento di ragazzi che si sentono calciatori a 16/17 anni, ma guardiamo le statistiche e la percentuale di persone che riesce a fare di questa passione la propria professione. Personalmente quello è stato il momento in cui ho capito che sarei potuto essere un calciatore professionista e in cui nella mia mente ho iniziato non più a voler diventare un calciatore, ma a voler vincere quanti più trofei possibili, era scattato il livello successivo».

Il tuo ex allenatore Gianlugi Gentile ci ha raccontato qualche tempo fa di una finale regionale negli Allievi contro il Torino in cui volesti esserci a tutti i costi, recuperando in fretta e furia dopo un mese e mezzo di infortunio. Quanto è speciale per un torinese giocare il derby della Mole?
«Considero il derby una delle partite più importanti, da torinese è sempre stata la prima grande sfida sin da bambino. La partita che cercavi sul calendario per prima in qualsiasi categoria. Ho sempre vissuto il derby con grande passione, credo che i tifosi del Torino abbiano sempre apprezzato, anche in Serie A, il grande rispetto che ho sempre avuto per questa partita e il modo con cui vivevo la sfida».

Da ragazzino eri un attaccante, poi ti cambiarono ruolo: come andarono le cose? Accettasti subito la decisione?
«Il cambio di ruolo è stata forse la mia fortuna, anche se amavo fare l’attaccante e fare gol. Tuttavia ho sempre avuto grande rispetto per i miei allenatori, mi sono fidato della scelta, mi sono applicato e impegnato. Ascoltate sempre gli allenatori, farvi crescere è il loro compito».

C’è un consiglio che hai ricevuto da giovane e che ti è tornato utile per tutta la tua carriera da calciatore?
«Sì, quello di imparare a giocare sia con il destro che con il sinistro. Nel calcio moderno credo che l’intelligenza tattica e la duttilità siano requisiti fondamentali. Inoltre dare sempre tutto negli allenamenti, la partita altro non è che l’espressione di ciò che avviene in settimana, imparare a gestire quante più situazioni possibili in allenamento crea una maggiore confidenza con gli eventi che accadono in partita e ti permette di essere in grado di dominarli».

Hai svelato di recente di avere in testa un corso da dirigente sportivo: ti vedresti in futuro a capo di un settore giovanile?
«In questo momento voglio studiare per farmi trovare pronto alle possibilità che mi si presenteranno, a prescindere dai settori e dai contesti».

Sogni una seconda vita alla Juve in un ruolo da dirigente?
«La mia vita alla Juventus è e sarà sempre soltanto una. Non c’è bisogno di tesserini o contratti per considerarmi uno Juventino».

Come te lo spieghi che per tanti anni non sono arrivati in prima squadra giovani cresciuti nel settore giovanile della Juve?
«A volte si tende a sottovalutare la difficoltà di un percorso come questo. La spiegazione è molto semplice, crescendo la competizione sale sempre di più, i confini del mercato si sono allargati anche tra i giovani ed ogni anno essere nella lista dei ragazzi selezionati per accedere allo step successivo diventa sempre più complicato. I giovani di tutto il mondo vorrebbero venire a giocare alla Juventus e questo desiderio cresce con il crescere dell’età. Essere un ragazzo di Torino che è riuscito a fare il percorso che ha fatto è motivo di grandissimo orgoglio».

Curioso il tuo ingresso nel mondo del futsal attraverso il progetto L84, ci racconti meglio la tua nuova avventura e cosa ti ha spinto verso il calcio a 5?
«Sono sempre alla ricerca di progetti nuovi ed entusiasmanti in ambito imprenditoriale. Mi ha spinto una società seria, e la voglia di fare qualcosa per la mia città. Penso che l’L84 sia un progetto coinvolgente e spero che i torinesi rispondano con grande passione. Che adottino la squadra e che insieme ci si possa divertire e toglierci qualche soddisfazioni».

Il futuro dell’azienda sportiva italiana passa dal concetto di polisportiva?
«Non necessariamente. Lo sport è un elemento di esaltazione delle culture locali. Mi piace leggere di comuni piccolini che dominano il volley, il basket, la pallamano etc.. La presenza di queste discipline in questi comuni permette di far crescere il movimento, di creare una generazione di talenti e di diffondere la passione per queste discipline che all’interno di una polisportiva rischierebbero di avere un ruolo marginale».

In Italia ci sono tanti allenatori, perché sempre meno dirigenti sportivi?
«Siamo convinti che un ex calciatore possa fare qualsiasi cosa all’interno del mondo del calcio, ma non è così. Ogni professione richiede competenze specifiche e non necessariamente il fatto di aver fatto il calciatore ad alti livelli automaticamente è sinonimo di preparazione in altri contesti. A volte ci si lancia nella scelta più facile, ma quella del post carriera è una decisione che va ponderata con grande attenzione e per la quale è necessario prepararsi nel migliore dei modi».

Chiudiamo con uno sguardo in Nazionale: Tonali, Chiesa, Zaniolo… sono loro i campioni azzurri del futuro?
«La nazionale sta vivendo un bel momento a livello giovanile. Oltre a loro penso anche a Barella, Castrovilli e molti altri giovani interessanti. Ma dato che abbiamo parlato di settore giovanile Juve aggiungo anche Nicolussi Caviglia e Fagioli».

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