Miretti: «Dagli esordi ad oggi, ecco cos'è per me stare alla Juve»
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Miretti a Dazn: «Dagli esordi alla prima squadra, ecco cos’è per me giocare nella Juve»

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Fabio Miretti, centrocampista della Juventus, si è raccontato a Dazn nel format “Quelli della Next Gen”: le sue parole

Fabio Miretti, centrocampista della Juventus, ha raccontato la sua carriera in bianconero a Dazn nel format “Quelli della Next Gen”.

GIOCARE CON LA JUVE – «Quando hai la maglia della Juve, indipendentemente che sia Primavera, prima squadra o Next Gen. addosso hai sempre un occhio di riguardo. Quando andavo e quando vado ora a giocare vengo visto con questo occhio qua. Ma dobbiamo essere bravi ad accettarlo».

ESORDIO IN NEXT GEN – «Fu un errore, ero abituato ai campi di Primavera senza tifosi e nella mia testa pensavo “Non siamo la prima squadra, siamo ragazzi giovani che vengono a giocare”. Non vedevo perchè insultare dei ragazzi, poi dopo il rigore mi sono fatto prendere dal momento e sono andato sotto la curva. Ma nulla di che».

PRIMI TEMPI NEL SETTORE GIOVANILE – «Avevo fatto un po’ di mesi di provini. Se mi chiedi il primo ricordo all’interno di Vinovo ero io a questi provini con una maglia di Xavi del Barcellona che mi aveva regalato mia nonna a cui ero affezionato».

PRIMO ALLENAMENTO – «Ero in Under 17, c’era ancora Sarri qua e ci chiamarono in 5 o 6 per allenarci con la prima squadra. Ero a scuola, dovevo chiamare il magazziniere per farmi portare le scarpe. C’era gente come Ronaldo e Bonucci, icone del calcio».

ESORDIO IN PRIMA SQUADRA – «I miei genitori erano ad Amsterdam ma hanno seguito la gara comunque. L’ho vissuto con tranquillità, ma l’emozione della prima da titolare c’era, ma quello è normale».

PRESSIONE DELLA PRIMA SQUADRA – «Ne parlavo qualche tempo fa con lo psicologo, ma la mia quotidianità non è cambiata molto. Parlare con uno psicologo aiuta, quando sento bisogno di un consiglio non ho bisogno a chiederlo».

INFORTUNIO BARRENECHEA AL CROCIATO – «Era una pedina fondamentale del nostro gioco. Poi lui è un ragazzo d’oro. All’inizio non pensavo di fosse fatto così male, ho iniziato ad avere paura quando ho visto che faceva fatica ad uscire».

NEDVED – «Non gli ho mai chiesto una foto. Per me è stata una soddisfazione conoscerlo, scambiarci due parole ed accettare i suoi consigli. Questa è la cosa che mi porto dentro. La foto ce l’hai sul telefonino ma non ti porta niente».

DI MARIA – «Ne succedono troppe per dirne solo una. Una cosa che mi colpisce sempre nonostante lo faccia più di una volta è quando rientra e sembra decida lui dove deve finire la palla sul secondo palo».

ALLEGRI – «Sa che il calcio di oggi va più veloce, quindi passi che un giorno sei un fenomeno e quello dopo sei scarso. Cosa mi ripete? Di non farmi dribblare in fase difensiva».

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