McKennie: «A Torino fermato ogni 10 metri, conoscono pure i miei cani»
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McKennie: «A Torino fermato ogni 10 metri, conoscono pure i miei cani»

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McKennie: «A Torino mi fermano ogni 10 metri, conoscono pure i miei cani». Le dichiarazioni del centrocampista della Juve

Weston McKennie ha parlato Oltreoceano in occasione di un conferenza stampa per pubblicizzare i playoff di MLS.

FAMA IN ITALIA- «Ovviamente essere alla Juventus significa essere nel club più grande d’Italia in questo momento, quindi ogni volta che vado in città, cosa che non faccio spesso, vengo fermato probabilmente ogni 10 metri. Amo stare fuori perché mi piace interagire con le persone ma mi piace anche godermi la mia privacy. Anche quando indosso una ‘maschera’ e una felpa con cappuccio, la gente ancora mi riconosce. In Italia, le persone ti seguono per tipo 200 metri, entrano nei negozi in cui stai entrando tu, ti mettono all’angolo e ti scattano foto, cosa che sento parte della professione, ma è anche una delle cose che a volte infastidisce quando voglio stare da solo, godermi una passeggiata o portare fuori i miei cani. Anche i miei cani in Italia sono riconoscibili ora, quindi è un po’ difficile uscire»

NFL – «Cosa avrei fatto nella vita se non fossi diventato calciatore? Probabilmente avrei giocato nel football americano. Ci giocavo prima di trasferirmi in Germania perché mio padre era nell’esercito. Questo è uno dei motivi per cui ho iniziato a giocare a calcio, perché in Germania non ce l’avevano per la mia età. Probabilmente giocherei a football americano. Penso che avrei potuto fare la NFL. Sono uno di quei ragazzi in cui qualunque cosa faccio cerco di dare il mio 100%. Quindi se avessi continuato magari…».

RONALDO – «La prima volta che ho visto Ronaldo stavo entrando nella stanza del fisioterapista per andare dal mio medico e l’ho visto uscire in mutande. Ho pensato, ‘OMG, è davvero lui!’. Ho fatto tutto il possibile per comportarmi normalmente e non passare per un fan totale, perché sarebbe stato il mio compagno di squadra».

VACANZE A DALLAS – «Sto con la mia famiglia, vedo gli amici. Quando torno provo una sensazione che non posso provare in Europa. Riesco ad essere me stesso, un ragazzo normale di Dallas».

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